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giovedì 10 luglio 2014

SOS degustazione

Guida semplice per non intenditori

Quando si pronuncia la parola VINO si sa già che ci si troverà difronte a due tipologie di persone:

- l'intenditore, colui che semplicemente SA. Anche se non gli hai chiesto nulla ti darà dei consigli e ti racconterà la storia di quella bevanda a lui così familiare. Non sempre è detto che abbia studiato l'argomento, anzi i più noiosi sono proprio quelli che non lo hanno fatto. Per loro Socrate (o Platone, se siete dubbiosi) si sbagliava quando diceva: “So di non sapere”. Loro SANNO. Punto.

- il godereccio, colui a cui basta che sulla bottiglia (o sulla scatola, per quel che gli importa) ci sia scritta la fatidica parola per tendere il bicchiere.

Non so esprimermi su quale delle due categorie io trovi più fastidiosa, tuttavia sento di affermare senza dubbio che io faccio parte di una terza categoria, quella degli sperduti.
Provo una certa venerazione per il vino e per il processo che lo fa diventare quel che è, perchè rappresenta davvero un delicato equilibrio tra Natura e uomo. Allo stesso tempo, quando mi sembra di aver intaccato la superficie dell'argomento, nuove nozioni mi ributtano indietro al punto di partenza.
E' un po' come vedere la riva dal largo e non riuscire a raggiungerla, pur nuotando “con stile perfetto” [cit. Pensavo fosse amore e invece era un calesse].
Per questo motivo cerco sempre di attingere alle conoscenze del gruppo degli intenditori, per poi verificarle a casa e, nel caso siano giuste, ricordarle.

Per sopravvivere alle degustazioni, che siano organizzate oppure a casa dell'ennesimo collega o amico, bisogna ricordare delle cose fondamentali, come ad esempio che il vino si fa con l'uva.
Lo so, lo so che lo sapete già, ma forse troppo spesso dimentichiamo che il vino non è solo succo d'uva. Molte persone pensano che basti schiacciare l'uva ed aspettare perchè si verifichi una magia che lo trasforma in vino, una specie di riedizione delle nozze di Cana, ma senz'acqua.
Il succo d'uva a questo punto fermenta, così, senza una ragione, solo perchè qualunque frutto schiacciato produce il proprio succo, ma più alcolico. Se così fosse, anche schiacciando una fragola e lasciandola un po' lì a decantare, avremmo in tempi più o meno brevi un buon succo di fragola alcolico, a seconda del processo di fragolificazione. Che cosa cambia?
Sulla superficie dell'acino d'uva c'è una sostanza di natura cerosa, chiamata pruina, che crea una patina bianca che si rimuove al solo passaggio di un dito sulla buccia. La pruina viene prodotta dalle cellule superficiali dell'acino e lo protegge da eccessiva disidratazione e dai raggi ultravioletti. Inoltre, questa sostanza trattiene sulla superficie dell'acino alcuni lieviti che danno il via alla fermentazione. E' il lievito il primo responsabile della vinificazione!

Il lievito può sopravvivere con vari mezzi. Alcuni tipi respirano ossigeno, proprio come voi e me, mentre altri, in assenza di ossigeno, possono utilizzare la fermentazione, degradando zuccheri per ottenere energia, anidride carbonica ed etanolo, responsabile della gradazione alcolica.
Et voilà, ecco cosa accade nella tinozza in cui abbiamo pigiato l'uva: un microrganismo, in assenza di ossigeno ed in presenza di zuccheri presenti nel chicco d'uva, ricava energia in un modo diverso dalla respirazione aerobica e produce sostanze che cambiano il substrato, in questo caso il mosto, in vino.
Naturalmente, quella di cui abbiamo parlato finora è una versione molto semplificata del processo di vinificazione. E' possibile che, oltre ai lieviti “indigeni” dell'acino spremuto, debbano essere aggiunti altri lieviti, a volte anche per dare un particolare aroma alla bevanda finale.
Un buon bicchiere di vino al giorno è consigliato nella propria dieta, proprio perchè così si integra la propria alimentazione con i polifenoli, antiossidanti naturali. Il vino è stato oggetto di numerosi studi scientifici e per citarli tutti impazzirei, ma sembra realistico il fatto che l'ingestione di molecole antiossidanti con un bicchiere a pasto migliorerebbe la salute e molti dei parametri controllati con le analisi del sangue.
Tuttavia, dove si trovano queste sostanze ed esattamente in che momento della vinificazione i polifenoli passano nel vino?
Tutti sappiamo che l'uva per diventare vino deve essere spremuta in qualche modo, che sia con una macchina o con i piedi dei contadini non importa, comunque sia da questo processo nasce il cosiddetto mosto, che poi può essere allungato con dell'acqua a seconda delle preparazioni cui andrà incontro. Il mosto inizierà gradualmente a fermentare e, come abbiamo appena detto, potrà farlo già spontaneamente o potrà essere aiutato dall' aggiunta di ulteriori lieviti.
Esistono fondamentalmente due principali tipi di vinificazione, quella in rosso e quella in bianco, per ottenere le due differenti tipologie di vino.

Nel primo caso il mosto viene lasciato a contatto con le vinacce, cioè le bucce ed i piccioli dell'uva, e nelle prime fasi della fermentazione avviene il processo di macerazione: le sostanze antiossidanti contenute nella parte più esterna dell'acino e nei vasi più superficiali che si trovano a contatto con la buccia si trasferiscono al mosto in relazione alla temperatura e alla durata del contatto di quest'ultimo con le bucce stesse. Quindi, a seconda di quanto a lungo restano in contatto, avremo vini rosé e rossi in varie sfumature.
Nel caso della vinificazione in bianco, invece, le vinacce vengono separate e non avviene la macerazione. Questo vuol dire che il vino bianco non ha polifenoli? No, semplicemente ne ha molti meno rispetto a quello rosso perchè non viene lasciato a decantare con le bucce, ma una parte dei polifenoli utili viene comunque trasferita al mosto nel momento della spremitura delle uve.



Questa è una breve guida molto semplificata, che può servire comunque per cavarsela egregiamente in caso di degustazione. Inoltre ci servirà come introduzione per alcuni post successivi in cui potrò descrivervi la mia esperienza alle degustazioni di vino ed una piccola gita che ho effettuato nei miei 20 giorni sabbatici di assenza dal blog.
Vorrei celebrare, inoltre, il principio di collaborazione donando un'immaginaria medaglia al Dr Bonavia, prezioso chimico per i momenti di confusione scientifica, per avermi permesso di districarmi nel mondo dei polifenoli e per avermi evitato di scrivere castronerie o semplici imprecisioni. La competenza è fatta di dettagli, dal mio punto di vista.
Ora vi lascio con questo delizioso cartone animato, so già che vi piacerà! In questo caso, faccio l'intenditrice e non la sperduta.



mercoledì 2 luglio 2014

Tyger! Tyger! burning ... BRIGHT

Quando si parlava di tigre, nella mia infanzia/adolescenza/giovinezza e, lo confesso, ancora oggi al telefono, c'era sempre una voce fuori campo che iniziava a dire “Tyger tyger burning bright in the forests of the night”
A dimostrazione che l'uso dell'allitterazione fatto da Blake nella sua famosa poesia era più che giusto. 
Chi declamava questi versi, come dicevo, lo fa ancora oggi ad ogni occasione e quindi per me la tigre ha un legame indissolubile con questa poesia.
Tuttavia per riferimenti letterari di tale calibro mi sono affidata ad un'esperta del campo, che è riuscita a scartabellare le fonti in modo migliore e con più rapidità rispetto a quanto avrei potuto fare io. 
Qui di seguito potete leggere una sua riflessione sul componimento di Blake citato sopra e sulla poesia che le fa da contraltare … ma non troppo.
In fondo potete leggere le poesie citate, sia in originale che in traduzione. 
Perchè sia io che la mia amica siamo maledettamente pignole, ognuna nel proprio campo.

Su questo fiero animale [la tigre] si è orientata la scelta di William Blake, per celebrare la meraviglia della creazione. 
The Tyger” è infatti un componimento scritto e illustrato dalla mano dell’autore. 
Collocato all’interno delle Songs of Experience (Canti dell'Esperienza), trova il suo controcanto in The Lamb, tra le Songs of Innocence (Canti dell'Innocenza). Nei versi di queste raccolte, il poeta, cantore del valore dell’essere umano in quanto tale, mostra i due stati contrari che nella sua immaginazione compongono l’anima umana. 
Come suggeriscono i titoli, si tratta di innocenza ed esperienza, tra le quali Blake instaura un confronto per opposizione. 
 
Gli opposti coesistono, ma la loro dualità trova una sintesi nell’unicità che li ha creati.
 
Ogni essere umano nella propria vita attraversa gli stadi dell’innocenza e dell’esperienza, senza che essi siano necessariamente legati alle due fasi dell’infanzia e dell’età adulta. 
Al contrario, sono due stati contemporaneamente mescolati nell’anima umana. La loro coesistenza consente il progresso. Il loro confronto induce a una coscienza superiore, una visione divina. Ove The Lamb presenta certezze, The Tyger pone domande che restano aperte, come quelle dell’uomo che sperimenta la notte. 


The Tyger
Tyger! Tyger! Burning bright
In the forest of the night,
What immortal hand or eye
Could frame thy fearful symmetry?

In what distant deeps or skies
Burnt the fire of thine eyes?
On what wings dare he aspire?
What the hand dare sieze the fire?

And what shoulder, & what art,
Could twist the sinews of thy heart?
And when thy heart began to beat,
What dread hand? & what dread feet?

What the hammer? What the chain?
In what furnace was thy brain?
What the anvil? What dread grasp
Dare its deadly terrors clasp?

When the stars threw down their spears,
And water’d heaven with their tears,
Did he smile his work to see?
Did he who made the Lamb make thee?
 
Traduzione di Giuseppe Ungaretti (mica pizza e fichi ... ndA)
Tigre! Tigre! Divampante fulgore
Nelle foreste della notte,
Quale fu l'immortale mano o l’occhio
Ch'ebbe la forza di formare la tua agghiacciante simmetria?
In quali abissi o in quali cieli
Accese il fuoco dei tuoi occhi?
Sopra quali ali osa slanciarsi?
E quale mano afferra il fuoco?
Quali spalle, quale arte
Poté torcerti i tendini del cuore?
E quando il tuo cuore ebbe il primo palpito,
Quale tremenda mano? Quale tremendo piede?
Quale mazza e quale catena?
Il tuo cervello fu in quale fornace?
E quale incudine?
Quale morsa robusta osò serrarne i terrori funesti?
Mentre gli astri perdevano le lance tirandole alla terra
e il paradiso empivano di pianti?
Fu nel sorriso che ebbe osservando compiuto il suo lavoro,
Chi l’Agnello creò, creò anche te?
Tigre! Tigre! Divampante fulgore
Nelle foreste della notte,
Quale mano, quale immortale spia
Osa formare la tua agghiacciante simmetria?

The Lamb
Little Lamb, who made thee?
Dost thou know who made thee?
Gave thee life, and bid thee feed
By the stream and o'er the mead;
Gave thee clothing of delight,
Softest clothing, woolly, bright;
Gave thee such a tender voice,
Making all the vales rejoice!
Little Lamb, who made thee?
Dost thou know who made thee?
Little Lamb, I'll tell thee,
Little Lamb, I'll tell thee:
He is called by thy name,
For He calls Himself a Lamb.
He is meek, and He is mild;
He became a little child.
I a child, and thou a lamb,
We are called by His name.
Little Lamb, God bless thee!
Little Lamb, God bless thee!
Traduzione
Agnellino, chi ti fece?
Sai chi ti fece?
Ti diede la vita, e ti disse di nutrirti
Dal ruscello e sopra il prato;
Ti diede un vestito di delizia,
Il più morbido vestito, di lana, chiaro;
(Chi) Ti diede una così tenera voce,
da fare gioire tutte le valli!
Agnellino, chi ti fece?
Sai chi ti fece?
Agnellino, te lo dirò,
Agnellino, te lo dirò:
Egli è chiamato col tuo nome,
Poiché Egli Si chiama Agnello.
Egli è mite, ed Egli è buono;
Divenne un piccolo bambino.
Io un bambino, e tu un agnello,
Siamo chiamati col Suo nome.
Agnellino, Dio ti benedica!
Agnellino, Dio ti benedica!

Ehi!! Non dimenticate di leggere il post precedente ... vi perdereste molto!
 

Tyger! Tyger! burning ... WHITE

Le tigri si esprimono attraverso una varietà di ruggiti, il più fragoroso dei quali è probabilmente il potente aaonh a cui maschi e femmine in calore ricorrono soprattutto durante la stagione degli accoppiamenti. È un richiamo udibile a grandi distanze e se lo ascoltate da vicino rimanete pietrificati. Poi c'è il woof delle tigri colte di sorpresa: un concentrato di furia secca e penetrante come lo scoppio di una bomba. Quando attaccano, i ruggiti sono gutturali e rauchi. Il brontolio rabbioso che usano a scopo di minaccia ha un timbro ancora diverso. Le tigri ringhiano e soffiano:
a seconda dello stato d'animo, questi versi ricordano il fruscio delle foglie d'autunno - solo più energico - oppure un'enorme porta dai cardini arrugginiti che si apre lentamente. In entrambi i casi l'effetto è agghiacciante. Le tigri gemono e grugniscono; fanno perfino le fusa, anche se più raramente dei gatti e soltanto espirando. (Solo i gatti fanno le fusa anche inspirando.) […]
Le tigri fanno persino miao, con un'inflessione simile a quella dei gatti, ma più sonora e dalla tonalità più profonda, che non invoglia certo a chinarsi e prenderle in braccio.
E le tigri possono anche stare in silenzio, un silenzio totale e maestoso.
Avevo sentito tutti questi versi durante la mia infanzia. Ma non il prusten.
Se ero al corrente della sua esistenza, era perché papà me ne aveva parlato. Ne aveva letto la descrizione nella letteratura zoologica. Ma l'aveva sentito solo una volta, durante una visita allo zoo di Mysore, nell'ospedale degli animali, da un giovane esemplare maschio con la polmonite.
Il prusten è il più pacato fra i versi della tigre, uno sbuffo dal naso che esprime cordialità e intenzioni pacifiche.
Richard Parker lo fece un'altra volta, accompagnandolo con un lieve movimento del capo. Chiunque, guardandolo, avrebbe giurato che mi stesse domandando qualcosa.

- Vita di Pi -

La Natura ci sorprende sempre, nemmeno una volta lascia insoddisfatta la nostra curiosità.
Io, ad esempio, non sapevo che la tigre facesse tutti questi versi e con questa varietà di significati. Mi ci è voluta la lettura del libro di Yann Martel per scoprirlo. Libro che è diventato ancora più noto per il pluripremiato film di Ang Lee da esso tratto.
La storia è quella di un ragazzino indiano, Piscine Molitor Patel, la cui famiglia possiede uno zoo. La devozione per gli animali fa in modo che in lui nasca una profonda ammirazione per tutte le creature ospitate nelle gabbie. La zoologia, insieme con le religioni, diventa la sua passione. Purtroppo gli affari non vanno bene per il padre, che decide di vendere gli animali e trasferirsi con la famiglia in Canada. La nave su cui viaggia la famiglia di Piscine, per gli amici Pi, sparisce durante una tempesta in mare aperto e lui sarà uno dei due unici superstiti.
L'altro è Richard Parker, un esemplare maschio di tigre del Bengala, con cui Pi dovrà condividere scialuppa ed avventure in mezzo all'Oceano Pacifico.
Non preoccupatevi, non vi ho svelato praticamente nulla del libro. La storia è molto più ricca di sfaccettature rispetto a quelle a cui accennavo poco sopra.
Su tutto emerge, maestosa, la figura della tigre, uno dei miei animali preferiti: fiera, nobile e terribilmente selvaggia.
Se leggiamo la tassonomia, si tratta di un gattone gigante, che arriva a misurare quasi 4 metri per poco meno di 400 kg di peso. Il suo nome scientifico è Panthera tigris e condivide lo stesso genere con il leone, il leopardo ed il giaguaro. La tigre adulta è un animale ai vertici della catena alimentare nel suo ambiente naturale, un cosiddetto predatore alfa, che si ciba soprattutto di ungulati simili a cervi e bovini.
Un tempo esse erano diffuse in tutta l'Asia, dalla Turchia alla parte più ad Est della Russia, ma al giorno d'oggi il loro habitat è molto meno esteso, oltre ad essere frammentato ed in generale distrutto. Se ci aggiungiamo anche il bracconaggio non è difficile concludere che la tigre è un esemplare in pericolo di estinzione: all'inizio del ventesimo secolo se ne contavano circa 100.000 esemplari, al giorno d'oggi ce ne sono meno di 4000 che vivono nel loro habitat naturale.

La tigre è un animale solitario e sociale. 

Wow, come può essere? In generale ogni esemplare ha un proprio territorio, che a volte si sovrappone con quello di altre tigri, ma di solito succede solo ai maschi, che lo fanno per avere a disposizione più femmine nel periodo dell'accoppiamento. Quando si tratta di dividere una preda, tuttavia, non è inusuale che a cibarsene non sia solo chi l'ha uccisa, ma anche qualche femmina con i cuccioli.
La tigre ama, inoltre, fare il bagno: come darle torto, specialmente in questo periodo? Strano per essere un gatto, è vero.

Esistono sei specie di tigri tuttora viventi. Forse una delle più conosciute è la tigre del Bengala, che esiste anche nella variante bianca e nera. Infatti tutti noi siamo abituati a pensare ad un bel tigrottone arancione a strisce nere, ma in quanti hanno visto per caso una foto di una tigre bianca e nera ed hanno esclamato: “Caspita, anche le tigri possono essere albine!”.

Amici, non fatevi cogliere in fallo dal compare più saputello: la tigre bianca NON è una tigre albina, ma una tigre con una mutazione a carico di un particolare gene.


Una coppia di tigri bianche allo zoo di Haifa
Foto di Zvi Roger - Haifa Municipality

Procediamo con ordine, la melanina sappiamo che è un pigmento che dà colore alla pelle ed ai capelli o più in generale ai peli del nostro corpo e del corpo degli animali. Ne esistono due varianti: la feomelanina produce colorazioni che vanno dal giallo al rossiccio, l'eumelanina dà colorazioni che vanno dal marrone al nero. Le tigri bianche non producono feomelanina, ma continuano a poter produrre eumelanina, per questo hanno un manto bianco a strisce nere.
Una tigre albina, invece, non potrebbe produrre nessun tipo di melanina e quindi sarebbe completamente bianca.

Uno studio cinese del 2013, che come sempre potete leggere per intero utilizzando i riferimenti a fondo pagina, si è concentrato sulle motivazioni della particolare colorazione della tigre e ne ha tratto alcune interessanti conclusioni.
Ci si è concentrati sui geni che erano i principali candidati per la colorazione del manto della tigre e si è visto che in particolare il gene SLC45A2 potrebbe essere la causa di tutto.
Questo gene codifica una proteina chiamata con il difficile nome di trasportatore proteico associato alla membrana, che nello specifico altro non è che una delle tante tipologie di porte girevoli che possediamo nella membrana di ognuna delle nostre cellule.
E' semplice: la cellula per sopravvivere deve rimanere un sistema controllato, quindi per far entrare ed uscire sostanze varie da essa è necessario utilizzare degli stratagemmi; uno di questi è il trasportatore di membrana, che assomiglia a quelle cabine che spesso sono all'ingresso delle banche, in cui entri, ti si chiude la porta dietro e poi ti si riapre davanti per lasciarti entrare nella banca vera e propria. In più, i trasportatori di membrana, all'interno, hanno l'esatta conformazione della molecola che devono trasportare.
Per fortuna quest'ultima cosa ce la risparmiano ancora nelle banche, sebbene spesso ci si chieda anche cos'altro dovrai lasciare nella cassettina all'ingresso, visto che la cabina continua a suonare e a non volerti far entrare.
Ecco, comunque, spiegata in parole povere la funzione delle proteine trasportatrici di membrana.
In particolare SLC45A2 si occupa della produzione della melanina e sembra che il cambiamento in un singolo mattoncino di tutta la proteina, sia responsabile per la mancata sintesi di feomelanina e dunque per l'esistenza di tigri bianche e nere. Volete sapere come? Facile, cambia la forma della “cabina” interna al trasportatore, quindi la molecola che prima veniva fatta entrare o uscire senza problemi, ora non ci entra più. Di conseguenza non si hanno più mattoni per produrre feomelanina.
La totalità delle tigri bianche oggi viventi sono state fatte nascere in cattività, grazie ad incroci controllati all'interno degli zoo. La variante bianca in natura è stata avvistata ed uccisa per l'ultima volta nel 1958, tuttavia non è detto che non ne esistano altre, data la rarità della mutazione.
Lo studio citato ha proprio voluto dimostrare che la mutazione a carico del gene SLC45A2 è naturale e non si produce solo in cattività.
Al contrario, gli individui fatti nascere da incroci controllati spesso vengono al mondo già morti o presentano deformità ed in generale non raggiungono l'età adulta. Le problematiche a carico dei cuccioli, infatti, derivano da fenomeni di inbreeding, incrocio tra individui troppo “vicini” geneticamente, mentre non ci sono in natura, dove le tigri bianche raggiungono tranquillamente la maturità.
Bene, ora che avete fatto una bella scorpacciata di genetica, distendete i neuroni con il post seguente ... questa settimana vi viziamo proprio!



martedì 24 giugno 2014

Solstizio d' Estate ai piedi di due Ginkgo biloba

Cari lettori di Rifiuto Biologico, è da un paio di settimane che non mi leggete. 
Invece di tediarvi con scuse e magari bugie, spero che possiate essere felici di sapere che da oggi il blog verrà arricchito con tantissimi argomenti che derivano proprio dalle mie settimane di silenzio. 
  

Prima di tutto, benvenuta Estate!
Il 21 giugno, alle ore 10.51, c'è stato il Solstizio d'estate, il giorno più lungo dell'anno e di conseguenza la notte più corta. Una giornata da reclusi per i vampiri, bisogna considerarlo.

Orto Botanico di Brera
Foto di Gea

Il 21 ed il 22 giugno si è svolta, proprio in occasione di questa ricorrenza, la Festa del Solstizio d'Estate negli Orti Botanici della Lombardia (www.reteortibotanicilombardia.it), arrivata alla sua undicesima edizione.
Gli Orti hanno aperto le porte al pubblico accogliendolo con laboratori, visite guidate, mostre ed eventi per scoprire le meraviglie della botanica ed affascinare persone di ogni età.
Per quanto mi riguarda, ho avuto l'occasione di visitare l'Orto Botanico di Brera e di portarmi a casa un'esperienza unica … ed i semi di una piantina che probabilmente farà la gioia della mia mamma, dato che a casa mia ultimamente muoiono anche le piante grasse.
L'Orto Botanico si trova nel cuore del centro storico di Milano.
Fin dall'ingresso sembra di arrivare in un posto benedetto, senza il frastuono del traffico e con alberi altissimi a fare da tetto. Non si tratta di un posto immenso, sono soltanto 5000 metri quadrati alle spalle del palazzo che ospita la famosa Pinacoteca di Brera.

Retro del Palazzo della Pinacoteca di Brera
Foto di Gea

L'Orto nella sua attuale configurazione fu fondato da Maria Teresa d'Austria nel 1774 con scopi scientifici e didattici. Nel sito web dedicato (www.brera.unimi.it) se ne possono leggere le alterne vicende fino alla riapertura, dopo il restauro, nel 2001.
La suddivisione fittizia in due parti fa sì che riusciamo ad ammirare per prime le aiuole recintate da mattoncini che risalgono all'epoca della sua fondazione e, in fondo, uno spazio circondato da alberi molto antichi, tra cui due esemplari di Ginkgo biloba, la cui foglia è anche il simbolo dell'Orto stesso.
A questo punto dovreste esclamare: “Ma certo! Il Ginkgo! Ne abbiamo già letto in uno degli scorsi post!”
Lo state facendo? Bravissimi!
Non lo state facendo? Va bè, erano soltanto due righe, potrebbe esservi passato sotto al naso senza che ve ne siate accorti.
Rimediate rileggendo il post sul pesce elefante.

Ginkgo biloba
Philipp Franz von Siebold and Joseph Gerhard Zuccarini
Flora Japonica, Sectio Prima (Tafelband)

Il Ginkgo biloba è un albero originario della Cina. Esisteva già in epoca mesozoica, con le sue foglie divise in due e l'eleganza del suo tronco.
Si tratta di un fossile vivente, un organismo il cui DNA è rimasto al riparo da molti fenomeni mutazionali, rendendo il genoma degli alberi di adesso sovrapponibile a quello degli alberi del Mesozoico.
Qui all'Orto Botanico di Brera si possono ammirare due esemplari importati dalla Cina nel 1775, un maschio ed una femmina. Infatti, il Ginkgo è una pianta che si definisce dioica, cioè possiede strutture fertili maschili e femminili su piante diverse, diversamente da molte altre piante che invece sono maschi e femmine insieme sulla stessa pianta, in modo piuttosto pratico per la loro riproduzione.
L'impollinazione dei fiori è anemofila, cioè dipende dal vento e non, ad esempio, dagli insetti, come siamo forse più abituati a pensare. Questo tipo di impollinazione è considerato tipico di piante molto primitive, per l'ovvia ragione che garantisce un minor successo nella fecondazione rispetto a quanto avviene con il trasporto del polline da parte degli insetti.
Da questo derivano due conseguenze:
  • la pianta deve produrre una quantità molto maggiore di polline per assicurarsi tante possibilità di discendenza;
  • la pianta non deve agghindarsi per attirare gli insetti e favorire l'impollinazione, né produce nettare. Le piante con fecondazione anemofila hanno però bisogno del vento per portare a termine la loro missione e per questo hanno evoluto altri stratagemmi per moltiplicare le loro possibilità.

Il Ginkgo viene considerata una pianta dalle potenzialità antiossidanti, poiché contiene molti polifenoli. Ancora non è stato confermato scientificamente il fatto che le stesse sostanze possano aiutare anche nei disturbi della memoria, come la malattia di Alzheimer.
Sembra invece che il consumo di Ginkgo biloba aiuti la circolazione del sangue, motivo per cui è spesso tra i componenti di rimedi naturali che contrastano la fragilità capillare e la comparsa di varici.
Per lungo tempo il Ginkgo biloba è stato coltivato dai monaci buddisti cinesi e non è raro trovarlo accanto ai templi o come ornamento nei giardini orientali.
I suoi principi attivi ne facevano l'ingrediente principale del tè dell'eterna giovinezza e la stessa foglia bilobata è stata associata nella filosofia orientale al principio dello Yin e dello Yang, secondo cui la realtà è governata dagli opposti (basso e alto, maschio e femmina, bene e male).
Una pianta molto misteriosa, conservata in uno scrigno che sembra impossibile si trovi nel centro storico di Milano.
La bellezza di una visita all'Orto Botanico di Brera, oltre alla possibilità di aggirarsi liberamente tra le aiuole ed alle tantissime attività che esso offre per tutte le età ed in tutte le stagioni, sta nel fatto che nei cartelli esplicativi sparsi qua e là c'è sempre una frase di un poeta o di uno scrittore “a tema”.
Vi propongo quella sul Ginkgo biloba:

Quando la bomba atomica trasformò la città di Hiroshima in un deserto annerito,
un vecchio ginkgo cadde fulminato vicino al centro dell' esplosione.

L'albero rimase calcinato come il tempio buddista che proteggeva.

Tre anni dopo, qualcuno scoprì che una lucina verde spuntava nel carbone. Il tronco morto aveva buttato fuori un germoglio. L'albero rinacque, aprì le braccia, fiorì.

Quel superstite della strage è ancora là. Perché si sappia.”



- Eduardo Galeano -



giovedì 5 giugno 2014

Cinque secondi per decidere

Viviamo in un'epoca strana, in cui anche ad Antonio Banderas cadono le fette biscottate dalla parte della marmellata.
Tempi ancora più strani perché per moltissima gente vale ancora la regola dei 5 secondi quando si parla di cibo che cade a terra. Se anche voi, come me fino a qualche anno fa, non la conoscete, vi faccio un breve riassunto.

Qualunque cibo cada a terra, se permane al suolo per meno di 5 secondi
è ancora sicuro da mangiare. I batteri cattivi non l'hanno ancora contaminato. 
Oltre i 5 secondi, si può decidere di buttarlo o mangiarlo,  ma
ormai è compromesso dal punto di vista igienico.”



A quanto pare, più di un gruppo di ricercatori si è occupato della faccenda, forse perché è un problema che li assilla spesso.
L'ultimo studio al riguardo è dell' Università inglese di Aston, vicino Birmingham.
Reso noto nel Marzo di quest'anno, è ancora sottoposto a revisione, ma le sue conclusioni ricalcano da vicino lo studio compiuto nel 2007 dalla Clemson University in South Carolina, USA.
Per rendere chiari i presupposti della ricerca diciamo che se ci cade il panino, nel momento in cui esso tocca terra entra in contatto anche con i batteri che rivestono praticamente ogni superficie del mondo che ci circonda.
I due studi consistevano nel calcolare la quota di batteri che venivano trasferiti da tre superfici diverse (piastrelle, parquet, moquette) a differenti tipologie di cibi, più o meno appiccicosi (dalla fetta di pane al lecca lecca), oppure ad un solo tipo di cibo: pane e pseudo-mortadella.
Le tecniche utilizzate per calcolare quanti batteri rimanevano adesi al cibo sembra siano sostanzialmente le stesse, mentre i batteri ricercati no.
In Inghilterra hanno cercato e tentato di enumerare Escherichia coli e Staphylococcus aureus, mentre negli Stati Uniti hanno preferito Salmonella typhimurium.
Dallo studio inglese si sono tratte conclusioni ovvie, come quella per cui più il cibo è appiccicoso, più batteri vi si trasferiscono in meno tempo, ma anche qualche curiosità: la moquette ha il minor tasso di trasferimento dei batteri rispetto a parquet e piastrelle.
Gli studi concordano nell'affermare che non appena il cibo tocca terra, esso è automaticamente contaminato, ma divergono nella stretta conseguenza.
Mentre per l' Università di Aston la quota di batteri immediatamente trasferiti non è abbastanza per procurare una malattia ed è comunque necessario che passi un periodo di tempo maggiore per definire il cibo non sicuro, per il gruppo statunitense, se il trasferimento è abbastanza per enumerare i batteri, lo è anche per procurare una malattia.
Da qui il comportamento differente anche dei due capigruppo della ricerca, quando si è chiesto loro se seguissero la regola dei 5 secondi.
Lo statunitense Dawson ha affermato di non mangiare nulla che sia caduto a terra anche solo per mezzo secondo, mentre l'inglese Hilton dice di seguire la regola, naturalmente facendo un'eccezione nel caso la superficie d'arrivo non sia il pavimento di casa sua, ma il marciapiede, ben più sporco.
Aspettiamo gli aggiornamenti per leggere lo studio britannico nello specifico.
Nel frattempo, vi state chiedendo l'utilità di questo tipo di ricerca? Onestamente lo ignoro, ma deve aver fatto venire qualche idea a note marche di panificati, se anche Antonio Banderas adesso produce fette biscottate più spesse.

mercoledì 28 maggio 2014

Rifiuto Biologico e I love Marche - Guest post su Lago di Pilato e Chirocefalo di Marchesoni

Questa settimana, amici lettori, Rifiuto Biologico è stato ospitato da un interessantissimo blog che parla di una terra tutta da scoprire: le Marche. L'unica regione plurale, dopo che anche gli Abruzzi, vedendo come buttava, sono tornati ad essere singolari.
Anche qui ci sono stati i terremoti, le alluvioni e le bombe d'acqua, ma almeno Ligabue e Jovanotti con il concertone ce li siamo risparmiati. 
I love Marche è un blog che offre moltissimi spunti per itinerari in questa stupenda regione, dove, se vuoi il mare e la montagna nello stesso giorno, hai solo bisogno di prendere casa in collina. 
Date un'occhiata al sito se volete approfondire le vostre conoscenze del territorio e magari programmare una vacanza o solo una "fermata" mentre scendete più a Sud, come hanno fatto la mia amica Chiara e suo marito l'anno scorso. 
Ce n'è per tutti i gusti, giuro, e poi ci sono le olive ascolane ed il ciauscolo!

Ad ogni modo, questa settimana Rifiuto Biologico ed I love Marche hanno collaborato per mettere su un post sul Lago di Pilato, situato sugli Appennini, vicino al confine umbro, ed i tanti misteri che aleggiano su questo luogo. Potete leggere il testo completo proprio qui

Dai, non fatevi pregare, scoprite le Marche, anche se sono al plurale; adesso abbiamo anche cambiato testimonial, non ci sono più le Winx con le scarpe ortopediche nè Dustin Hoffman che inciampa sull'Infinito di Giacomo: c'è Neri Marcoré!

giovedì 22 maggio 2014

Vivi, morti o X (men)

Ormai in molti conoscono gli X-Men, volenti o nolenti.
In più, ci si divide sostanzialmente in tre gruppi: quelli che sanno tutto sia dei film che dei fumetti da cui sono stati tratti, quelli che vedono dieci secondi di trailer e cambiano canale, quelli che guardano i film, li trovano belli, ma fermati lì.
Poi ci sono quelle che ti dicono “Io degli X-Men conosco Wolverine”, chissà perché.
Personalmente non sono una fan dei fumetti, anche se, grazie ai film ed alla passione di alcune persone a me molto vicine, sono rimasta piacevolmente colpita da quel che giace al fondo di questa saga. Siccome in molti si stanno preparando ad invadere i cinema per l'arrivo, proprio oggi, del nuovo capitolo della serie, mi sembrava opportuno scrivere qualcosina, anche per le sventurate (di solito sono le fidanzate, in questo caso) che saranno trascinate senza pietà a godersi ore di combattimenti, lettura nel pensiero ed uno strano caschetto.
Per fortuna che c'è Wolverine, sul quale ci dilungheremo in un post successivo.
Innanzitutto gli X-Men si chiamano così perché tutti quanti possiedono il Gene X, una mutazione a carico del loro genoma che conferisce loro caratteristiche straordinarie. Solo per fare un esempio: capacità di telepatia o telecinesi, possibilità di manipolare gli elementi atmosferici o i campi magnetici, resistenza fisica portata all'impossibile, capacità di mutarsi completamente in qualsiasi altra persona.
La caratteristica che mi porta ad apprezzare particolarmente questo gruppo di personaggi è che, a differenza di una miriade di altri loro colleghi, i loro poteri non sono derivati da un incidente straordinario, come è avvenuto per Spiderman o per Hulk, ma da un avvenimento naturale, sebbene ovviamente portato nel campo della fantascienza.

Il primo albo di fumetti sugli X-Men fu pubblicato nel 1963 da Marvel Comics. In esso i mutanti erano solo un piccolo gruppo di adolescenti, non accettati dal mondo ed in preda a cambiamenti profondi di psiche e corpo. Problemi comunque più pressanti nel loro caso rispetto alla normale acne o ad altezze sproporzionate di ragazzini sottilissimi dal discutibile odore. Quando non sei né carne né pesce, insomma, anche se per gli X-Men c'era qualche problemino in più.
La tematica del fumetto scava, tuttavia, ancor più nel profondo. Al centro ci sono la diversità del mutante, essere mostruoso ed incompreso in un mondo di umani e perciò considerato pericoloso. Il vero problema, tuttavia, è che di mutanti non ce ne sono proprio pochissimi nel mondo, quindi gli umani “normali” tentano di arginare il fenomeno con sperimentazioni su sieri che possono far “guarire” dal Gene X o semplicemente mettendo in atto la volontà di registrare i mutanti.
Un primo passo verso la discriminazione e l'odio razziale, insomma.
In tutto ciò gli stessi X-Men si dividono in due fazioni; da un lato Charles Xavier, potente telepate, fiducioso in un utopico mondo in cui mutanti ed umani coesistono, dall'altro Magneto, in grado di manipolare metallo e campi magnetici a suo piacimento, ostile agli umani e sostenitore della superiorità dei mutanti.
Una storia affascinante e ricca di sfaccettature, probabilmente per questo motivo il rilancio sul grande schermo ha rivalutato anche le sorti del fumetto.

La mutazione è da sempre stata la base dell'evoluzione poiché determina la variabilità genetica che possiamo individuare con un unico sguardo alle persone intorno a noi.
Di che cosa si tratta? Si definisce come un cambiamento permanente ed ereditabile del patrimonio genetico e può avvenire in qualsiasi organismo. Si tratta di un processo lento e casuale, che può risultare in un cambiamento positivo, negativo o indifferente per l'individuo mutato.
Un esempio che mi è sempre sembrato molto esplicativo è il caso della Biston betularia, una falena che si mimetizzava su tronchi di albero ricoperti da licheni di colore chiaro, dato che anch'essa aveva ali chiare che le permettevano di passare inosservata ai predatori.

Biston betularia morpha typica
Foto di Olaf Leillingen

Con l'avvento della rivoluzione industriale in Inghilterra, molti di questi licheni scomparvero ed il tronco degli alberi annerì per l'inquinamento ed i fumi industriali. Le falene che, per una mutazione, nascevano con le ali scure avevano un vantaggio notevole nei confronti di quelle con le ali chiare e sicuramente venivano predate in misura molto minore. 

Biston betularia betularia morpha carbonaria
Foto di Olaf Leillingen

Dopo un certo periodo di tempo la popolazione dalle ali scure soppiantò completamente quella delle sorelle con ali biancastre. Il fenomeno fu chiamato “melanismo industriale” e fu spiegato come una mutazione spontanea del gene responsabile del colore delle ali accompagnato da una selezione naturale sfavorevole per le falene che in un primo tempo erano il gruppo predominante, quelle dalle ali chiare.
Le mutazioni possono essere spontanee o indotte da agenti esterni, come sostanze chimiche, ad esempio; senza scomodare i rifiuti tossici, basti pensare alle sostanze contenute nello scarico dei motori, nelle sigarette o nella parte carbonizzata dei cibi. Anche i raggi ultravioletti sono mutageni
La mutazione può interessare una piccolissima parte del genoma, un intero gene o una zona ancora più grande del nostro corredo genetico.
Se per l'organismo esiste la capacità di mutare, esiste anche l'opposto, cioè un meccanismo di riparazione del genoma mutato. E' come una bilancia: se il tasso di riparazione è alto, quello di mutazione è ridotto e viceversa. I vari meccanismi di riparazione, tuttavia, differiscono da più semplici a più complessi, anche se non sempre quelli più complessi corrispondono ad un maggior livello evolutivo. Gli umani, ad esempio, hanno in comune alcuni di questi meccanismi con le mosche.
Avremo modo di approfondire alcuni interessanti casi di mutazione in altri post, nel frattempo vi lascio con una battuta del film X-Men, che riporta nel mondo della finzione le basi scientifiche di cui abbiamo parlato oggi insieme.

La mutazione è la chiave della nostra evoluzione, ci ha consentito di evolverci da organismi monocellulari a specie dominante sul pianeta. Questo processo è lento e normalmente richiede migliaia e migliaia di anni, ma ogni centinaio di millenni l'evoluzione fa un balzo in avanti.

- Charles Xavier -