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giovedì 16 ottobre 2014

Wolverine, il ghiottone coi muscoli

Di X-Men abbiamo già parlato quando abbiamo preso in esame le mutazioni genetiche.
Tuttavia, da qualcuno bisogna pur partire per iniziare a parlarne nello specifico.
Dovendo scegliere, io, autrice del testo e orgogliosa proprietaria di tanti cromosomi XX, ho scelto Wolverine/Logan come protagonista di un post che scavi nello specifico di questo gruppo di strani personaggi.

Wolverine

L'ho scelto perchè, a mio parere, la storia di questo personaggio è una delle più interessanti e lo stesso si può dire del suo gene X: la capacità di rigenerazione praticamente illimitata. Spendiamo due parole sul fatto che milioni di persone sono corse a vedere “Wolverine – L'immortale” solo pochi mesi fa, ma nessuno ha mai pensato a come sarebbe stato più loffio un titolo come “Ghiottone – L'immortale”, vera traduzione del nome dell'animale da cui il nostro X-Man prende il nome.

Il ghiottone

Quindi smettiamola di immaginare che Wolverine sia un lupo piccolino; è un ghiottone, che per quanto si sforzi non sembra molto temibile, pur essendo un solitario e laborioso cacciatore di radici e pur riuscendo a spezzare il femore di una renna con un morso.
Inoltre, più che una buona vista ha un buon olfatto, fattore che impoverisce ulteriormente la figura di Hugh Jackman nel film, se andiamo a guardare. Tuttavia non dimentichiamo che il nome, a parte derivare da una leggenda indiana che viene raccontata a Logan dalla sua donna e che riguarda la triste storia d'amore della Luna e del suo amante, separati con l'inganno (ehm ehm, non siamo qui a svelare la trama, quindi passiamo sopra a questi dettagli), deriva dal fatto che un altro dei poteri di Wolverine è quello di avere dei sensi sviluppatissimi, come quelli dell' animale selvatico da cui prende il nome.
Ecco qua, dunque, che ci si presenta il nostro X-Man: un fattore di rigenerazione che gli permette di guarire da ogni ferita e frattura, una sensibilità “animale” e naturalmente il tratto più caratteristico: gli artigli ossei che gli spuntano da entrambe le mani. Il tutto ricoperto da una lega metallica chiamata adamantio e praticamente indistruttibile.
In che modo Logan sia riuscito ad ottenere la sua personale armatura di adamantio non ve lo sto a raccontare, ma potete immaginare da soli che non sia stato così facile e soprattutto indolore.
A corti discorsi potete fare quello che vi pare per uccidere Wolverine, ma se non avete qualche arma in adamantio non gli farete poi così male. Se viene ferito, si rigenera e l'unico piccolo problema che può avere avuto è stato un tizio che gli ha sparato in testa qualche proiettile. Di adamantio. Quindi Logan non si ricorda più nulla di nulla.

Qualche mese fa, durante le mie peregrinazioni internettiane, mi sono imbattuta in un articolo pubblicato su Cell da un gruppo di ricercatori della Harvard Medical School di Boston in cui si parla del gene Lin28a, da cui deriva una proteina responsabile della rigenerazione tissutale tramite alterazione del metabolismo. In pratica si tratta di una proteina regolatrice che almeno in parte agisce sul metabolismo del glucosio e promuove la ricostruzione di tessuti danneggiati. I modelli su cui questa proteina era stata finora studiata sono stati C. elegans (il nostro amico vermacchione) e lo zebrafish, tuttavia l'innovativo studio di cui sopra è stato compiuto su alcuni topi.
L'idea del gruppo di scienziati che si sono svegliati una mattina, si sono guardati allo specchio e si sono trovati terribilmente invecchiati, è la seguente: dato che il gene funziona molto di più durante gli anni giovanili del topo e poi perde la sua funzionalità, perché non manipolarlo un pochino e farlo tornare all'antica gloria nell'individuo adulto? In questo modo anche un individuo già sviluppato potrà ottenere di nuovo quelle capacità di rigenerazione tissutale ormai molto attenuate.
Tuttavia, i geni molto più spesso di quanto non si pensi lavorano in sinergia l'uno con l'altro, e dunque si è arrivati a concludere che esista la possibilità che ingegnerizzare solamente Lin28a possa non essere abbastanza o che comunque ci sia bisogno di identificare anche le molecole bersaglio di questo gene per avere un quadro più chiaro del meccanismo che giace al fondo. Di certo questo studio è un passo avanti per evidenziare gli effetti in vivo della manipolazione del gene e per poter approfondire nuove metodiche che aiuteranno nella cura di malattie che derivino da degenerazione e danneggiamento tissutale. Se volete documentarvi in modo approfondito su questo studio cliccate qui.
Il gene Lin28a è stato ribattezzato dalla stampa “Wolverine” per la lodevole associazione di idee di qualcuno che la sera precedente si era sparato il DVD sul divano e ne era rimasto piacevolmente colpito. Queste si chiamano coincidenze fortuite, ogni tanto capitano. 

Ora godetevi i Survivor che fanno 80 chilometri per raggiungere la sala prove, per strada fanno finta di non conoscersi, poi alla fine si bagnano i capelli a turno: una fortuna per il tastierista che aveva una pettinatura inguardabile. 


venerdì 12 settembre 2014

Ehi! Un topo! Ma no, è un' arvicola!

Cari lettori, causa contrattempo tecnico, questa settimana Rifiuto Biologico vi regala solo un breve, ma importante, aggiornamento.
Per la prima volta è stato avvistato sulla piana del lago di Pilato, all'interno del Parco dei Monti Sibillini, un piccolo amico: l'arvicola delle nevi (Chionomys nivalis).

L' arvicola fa "cheese"!
Foto ANSA
Arvicola delle nevi
(Chionomys nivalis)
Foto di Girardi F.

Si tratta di un esemplare appartenente alla famiglia dei Cricetidi, con folta pelliccia grigiastra e piccole orecchie. Le zampe posteriori sono piuttosto lunghe, tutto il corpo può avere una lunghezza che varia dagli 11 ai 14 centimetri, cui si aggiunge una coda lunga tra i 5 e i 7 centimetri.
So che per alcuni di voi, a guardare la foto, l'arvicola sembrerà solo l'ennesimo topolone disgustoso, tuttavia averlo come confermato abitante dei Sibillini è un grande traguardo: vuol dire che in questa zona il disturbo creato dalla presenza umana è ancora piuttosto basso.
Se seguite il blog da qualche mese conoscerete già questa area dei Sibillini, nella regione Marche, poiché Rifiuto Biologico se ne è occupato in un guest post in collaborazione con “I love Marche”. Sempre qui, ma nelle acque del lago di Pilato, infatti, vive una specie endemica: il crostaceo Chirocefalo di Marchesoni.
Per l'arvicola la storia è un po' diversa: almeno un esemplare era stato avvistato alla fine degli anni '70, ma non c'era stata nessuna conferma negli anni successivi.
Questo esemplare di roditore è comune nelle zone di alta montagna dell' Europa centro-meridionale, nell' Asia centrale ed occidentale ed in Italia sulle Alpi, sugli Appennini settentrionali ed in quelli abruzzesi.
Ieri, dopo lunga attesa, uno degli zoologi coinvolti nel progetto di ricerca, condotto dal Parco dei Sibillini con i fondi del Ministero dell'Ambiente per il monitoraggio della biodiversità, è riuscito ad acciuffare un'arvicola. I ricercatori hanno quindi proceduto al riconoscimento, confermando che si trattasse proprio di quella specie, e poi hanno rilasciato il roditore, che è tornato a zampettare sereno sulla pietraia.
La biodiversità del Parco aumenta, dunque, e lo stesso Ente Parco ha provveduto a rilasciare una dichiarazione in cui, oltre all'orgoglio per il nuovo piccolo abitante, si invitano i visitatori alla cautela ed al rispetto dell'ambiente durante le escursioni.
E' sempre bello poter parlare di queste novità, spero che apprezziate anche voi l'importanza della notizia.

sabato 30 agosto 2014

Blu aragosta
Lobster, she wrote

La maggior parte di voi ricorderà l'aragosta Pizzicottina, cui Homer era molto affezionato, in una puntata dei sempreverdi Simpson. Ricorderete anche i suoi sentimenti contrastanti al momento di mangiarla.
Se anche voi andate pazzi per i crostacei, specialmente le aragoste, sarete forse incuriositi dal fatto che esistono anche le aragoste blu!
La cosa che vi stupirà ancora di più è che non sono nemmeno le più rare.
L'idea per questo post mi è venuta dopo aver letto, qualche giorno fa, della cattura di un'aragosta blu nella costa nord est degli Stati Uniti, il ben noto Maine della Signora Fletcher e di Stephen King.

Aragosta blu
Foto di Justin Brook

Un tempo, tra il diciassettesimo ed il diciottesimo secolo, di aragoste in zona ce n'erano così tante che venivano addirittura utilizzate come fertilizzante per i campi. Tuttavia, nel secolo successivo questi crostacei iniziarono a scarseggiare e divennero, ovviamente, molto costosi per chi voleva consumarli.

Contrariamente a quanto ci dicono i cartoni animati, l'aragosta (in questo post mi riferisco alla variante nordamericana, Homarus americanus) non è rossa come quando la vediamo nel piatto, bensì ha una sfumatura che va dal rosso scuro/blu profondo al verdastro, poiché in questo modo essa riesce a confondersi meglio con il fondale marino.

Homerus americanus

Passando un po' alle statistiche, la probabilità di trovare un'aragosta blu è una su 2 milioni di aragoste. Sono un po' pochine, vero?
Ebbene, non sono le più rare, dato che esistono anche quelle gialle e che se ne trova una su 30 milioni. Esistono, inoltre, anche aragoste con esattamente metà del corpo bruno e metà rosso (una su 50 milioni di aragoste).

Aragosta bicolore
(no, non è un Photoshop)

Da questo punto di vista, sembra quasi abbastanza comune trovare un'aragosta blu, rispetto a trovarne una gialla o bicolore.
Tuttavia ho lasciato la chicca per ultimo: esiste un tipo albino di aragosta e, udite udite, se ne trova un esemplare ogni 100 milioni.


Aragosta albina
Credits YourDailyMedia

Le aragoste albine sono le uniche che non cambiano colore dopo la bollitura, diventando color rosso brillante, come accade con gli altri esemplari.
Provare per credere, dopo essere riusciti a comprare un'aragosta albina, naturalmente.

A questo punto facciamo chiarezza su tutte le varie colorazioni e diciamo forte e chiaro che la pigmentazione dell' esoscheletro del crostaceo dipende da proteine prodotte dall'animale stesso.
In particolare, qualche anno fa uno studio del Dr. Harry Frank dell'Università del Connecticut è stato pubblicato nel Journal of Physical Chemistry. Nel testo si spiegava il motivo della colorazione blu, imputandola ad un difetto genetico proprio dell'individuo che la esprimeva.
Abbiamo già detto che normalmente l' esoscheletro dell'aragosta ha una colorazione che va dall'arancione scuro fino al blu scuro/verdastro, frutto della presenza di pigmento carotenoide (astaxantina), che dà il colore aranciato, e di crustacianina, un complesso proteico costituito da astaxantine riunite in “mazzetti” da altre proteine.
Secondo lo studio di Frank, la vicinanza delle proteine riunite in un “mazzetto” fa cambiare la configurazione degli elettroni negli atomi che le costituiscono e fa in modo che l'intero gruppo assorba una radiazione luminosa diversa da quella che verrebbe assorbita da una singola molecola di astaxantina.
In questo modo le molecole riunite in gruppi danno delle zone bluastre sull' esoscheletro dell'aragosta.
In un esemplare di aragosta blu la situazione appena descritta è spinta al massimo, dato che, per una mutazione genetica, il crostaceo produce una gran quantità di proteine che riuniscono l'astaxantina in crustacianina. Per questo motivo la colorazione blu si estende a tutto l'animale.
In questo caso la mutazione non è molto favorevole alla povera aragosta, la quale spicca moltissimo sul fondale marino rispetto alle sue compagne e viene più facilmente catturata.
A questo punto la domanda sorge spontanea: l'aragosta blu, quando si cucina, resta dello stesso colore?
Risposta negativa, il calore dell'acqua disfa la crustacianina, liberando le singole astaxantine, che donano la tipica colorazione rosso brillante all'aragosta bollita.
Enigma risolto, dunque. Ne sarebbe fiera anche Jessica Fletcher!

sabato 26 luglio 2014

Panda per tutte le stagioni

Oggi si parla di panda.
Non quelle a quattro ruote, bensì quelli a quattro zampe, morbidosi e che nascono solo in modalità bicolore: i panda giganti o panda maggiori, il cui nome scientifico è Ailuropoda melanoleuca e sono diversi dal panda rosso.
Tutti sappiamo che sono in via d'estinzione, non a caso proprio questo animale è il simbolo del WWF, a monito dell'impegno di questa associazione per la salvaguardia delle specie in pericolo.
I panda giganti vivono in Cina, per la precisione tra le montagne del Sichuan, e sono della stessa famiglia degli orsi (Ursidae). 
Verrebbe da dire che sono anch'essi carnivori, come dimostrerebbe il loro stomaco semplice ed il loro apparato gastro – intestinale, ma chi di noi si immagina minacciato da uno sbavante panda nei propri sogni? E' molto più probabile pensare a questo animale accoccolato ai piedi di una pianta di bambù, mentre ne sgranocchia i germogli o le foglie.
I panda, infatti, sono erbivori per la quasi totalità; la loro dieta è basata sul consumo di due specie di bambù: il wood bamboo e l'arrow bamboo. Queste due tipologie di piante vivono ad altitudini diverse nell'habitat del panda ed uno studio molto recente ha provato a dimostrare quanto il panda sia abile nel bilanciare le due risorse al fine di ottenerne i nutrienti fondamentali per la sua dieta.
Il panda, lo ripetiamo, non ha un sistema digestivo adatto a scomporre piante così ricche in lignina e fibre come il bambù. Inoltre la sua dieta è povera di proteine.

Come fa allora a vivere da erbivoro, se non è “costruito” per esserlo?


Kung Fu Panda usa lo yoga
per digerire lignina e fibre del bambù

Lo studio a cui ci riferiremo è stato portato avanti per sei anni da istituti di ricerca cinesi, australiani e statunitensi e potete, come sempre, prenderne visione qui.
I ricercatori coinvolti hanno studiato il comportamento di un gruppo di panda in relazione alla loro alimentazione ed al cambiamento della stessa a seconda dei loro spostamenti durante le varie stagioni dell'anno. Si è presa in considerazione la quantità di tre elementi principali nella dieta del panda: il calcio, il fosforo e l'azoto, fondamentali nella riproduzione e nella crescita, come in tutti i mammiferi.
Dallo studio emerge che il comportamento del panda cambia a seconda delle stagioni.
Ora non immaginate il costume da bagno o la sciarpa di lana, si tratta di una variazione nella tipologia di cibo e nell'altitudine a cui lo trovano. Vediamo in breve le varie fasi.

PRIMAVERA
E' la stagione dell'accoppiamento.
I panda si cibano di germogli di wood bamboo, ad alto contenuto di azoto e fosforo, ma a basso contenuto di calcio.

GIUGNO
I panda salgono più in alto per mangiare germogli di arrow bamboo, sempre ricchi di nutrienti, ma con poco calcio.

TARDO LUGLIO
i panda si nutrono delle foglie di arrow bamboo, ad alto contenuto di calcio.

AGOSTO
Le femmine di panda tornano a più basse altitudini e, dopo circa tre mesi di gestazione, danno alla luce i loro cuccioli, i più piccoli della famiglia Ursidae. Le neo mamme si nutrono di foglie di wood bamboo, con un maggior contenuto di nutrienti e calcio, quest'ultimo utile per la produzione di latte.

INVERNO
Le foglie di wood bamboo avvizziscono, diminuendo la quantità di nutrienti fornita e mettendo in pericolo l'esistenza stessa dei panda, per i quali l'inverno è una stagione piuttosto problematica. Sembra, tuttavia, che essi riescano ad ottenere sostentamento anche da altre fonti per sopperire alla mancanza di nutrienti derivanti dal bambù.

Lo studio internazionale ha voluto studiare meglio la stupefacente sincronizzazione del ciclo vitale e riproduttivo dei panda giganti con le due specie di bambù che gli forniscono cibo per la totalità dell'anno.
Inoltre i ricercatori hanno ipotizzato che il calcio sia un fattore determinante per l'impianto in utero dell'embrione di panda, dato che è tipico di questa specie il cosiddetto impianto ritardato, distante anche mesi dalla fecondazione. Una delle motivazioni potrebbe essere che l'impianto segua le fluttuazioni del calcio nella dieta e che l'embrione attecchisca solo quando i livelli di questo elemento nella dieta della madre sono più alti.
Quest'ultimo fattore, sommato al fatto che il panda ha un periodo fertile molto ristretto durante tutto l'anno, mette in luce come sia fondamentale preservare l'habitat in cui vive il panda gigante se si vuole garantire la sua sopravvivenza.

Ci salutiamo con la vignetta di uno dei fumettisti che seguo con più piacere, che ha come protagonista, appunto, un simpatico panda.
Con un'estate così, poi, sarebbe sicuramente confuso anche riguardo a quali germogli mangiare!

Credits www.pandalikes.com

mercoledì 2 luglio 2014

Tyger! Tyger! burning ... WHITE

Le tigri si esprimono attraverso una varietà di ruggiti, il più fragoroso dei quali è probabilmente il potente aaonh a cui maschi e femmine in calore ricorrono soprattutto durante la stagione degli accoppiamenti. È un richiamo udibile a grandi distanze e se lo ascoltate da vicino rimanete pietrificati. Poi c'è il woof delle tigri colte di sorpresa: un concentrato di furia secca e penetrante come lo scoppio di una bomba. Quando attaccano, i ruggiti sono gutturali e rauchi. Il brontolio rabbioso che usano a scopo di minaccia ha un timbro ancora diverso. Le tigri ringhiano e soffiano:
a seconda dello stato d'animo, questi versi ricordano il fruscio delle foglie d'autunno - solo più energico - oppure un'enorme porta dai cardini arrugginiti che si apre lentamente. In entrambi i casi l'effetto è agghiacciante. Le tigri gemono e grugniscono; fanno perfino le fusa, anche se più raramente dei gatti e soltanto espirando. (Solo i gatti fanno le fusa anche inspirando.) […]
Le tigri fanno persino miao, con un'inflessione simile a quella dei gatti, ma più sonora e dalla tonalità più profonda, che non invoglia certo a chinarsi e prenderle in braccio.
E le tigri possono anche stare in silenzio, un silenzio totale e maestoso.
Avevo sentito tutti questi versi durante la mia infanzia. Ma non il prusten.
Se ero al corrente della sua esistenza, era perché papà me ne aveva parlato. Ne aveva letto la descrizione nella letteratura zoologica. Ma l'aveva sentito solo una volta, durante una visita allo zoo di Mysore, nell'ospedale degli animali, da un giovane esemplare maschio con la polmonite.
Il prusten è il più pacato fra i versi della tigre, uno sbuffo dal naso che esprime cordialità e intenzioni pacifiche.
Richard Parker lo fece un'altra volta, accompagnandolo con un lieve movimento del capo. Chiunque, guardandolo, avrebbe giurato che mi stesse domandando qualcosa.

- Vita di Pi -

La Natura ci sorprende sempre, nemmeno una volta lascia insoddisfatta la nostra curiosità.
Io, ad esempio, non sapevo che la tigre facesse tutti questi versi e con questa varietà di significati. Mi ci è voluta la lettura del libro di Yann Martel per scoprirlo. Libro che è diventato ancora più noto per il pluripremiato film di Ang Lee da esso tratto.
La storia è quella di un ragazzino indiano, Piscine Molitor Patel, la cui famiglia possiede uno zoo. La devozione per gli animali fa in modo che in lui nasca una profonda ammirazione per tutte le creature ospitate nelle gabbie. La zoologia, insieme con le religioni, diventa la sua passione. Purtroppo gli affari non vanno bene per il padre, che decide di vendere gli animali e trasferirsi con la famiglia in Canada. La nave su cui viaggia la famiglia di Piscine, per gli amici Pi, sparisce durante una tempesta in mare aperto e lui sarà uno dei due unici superstiti.
L'altro è Richard Parker, un esemplare maschio di tigre del Bengala, con cui Pi dovrà condividere scialuppa ed avventure in mezzo all'Oceano Pacifico.
Non preoccupatevi, non vi ho svelato praticamente nulla del libro. La storia è molto più ricca di sfaccettature rispetto a quelle a cui accennavo poco sopra.
Su tutto emerge, maestosa, la figura della tigre, uno dei miei animali preferiti: fiera, nobile e terribilmente selvaggia.
Se leggiamo la tassonomia, si tratta di un gattone gigante, che arriva a misurare quasi 4 metri per poco meno di 400 kg di peso. Il suo nome scientifico è Panthera tigris e condivide lo stesso genere con il leone, il leopardo ed il giaguaro. La tigre adulta è un animale ai vertici della catena alimentare nel suo ambiente naturale, un cosiddetto predatore alfa, che si ciba soprattutto di ungulati simili a cervi e bovini.
Un tempo esse erano diffuse in tutta l'Asia, dalla Turchia alla parte più ad Est della Russia, ma al giorno d'oggi il loro habitat è molto meno esteso, oltre ad essere frammentato ed in generale distrutto. Se ci aggiungiamo anche il bracconaggio non è difficile concludere che la tigre è un esemplare in pericolo di estinzione: all'inizio del ventesimo secolo se ne contavano circa 100.000 esemplari, al giorno d'oggi ce ne sono meno di 4000 che vivono nel loro habitat naturale.

La tigre è un animale solitario e sociale. 

Wow, come può essere? In generale ogni esemplare ha un proprio territorio, che a volte si sovrappone con quello di altre tigri, ma di solito succede solo ai maschi, che lo fanno per avere a disposizione più femmine nel periodo dell'accoppiamento. Quando si tratta di dividere una preda, tuttavia, non è inusuale che a cibarsene non sia solo chi l'ha uccisa, ma anche qualche femmina con i cuccioli.
La tigre ama, inoltre, fare il bagno: come darle torto, specialmente in questo periodo? Strano per essere un gatto, è vero.

Esistono sei specie di tigri tuttora viventi. Forse una delle più conosciute è la tigre del Bengala, che esiste anche nella variante bianca e nera. Infatti tutti noi siamo abituati a pensare ad un bel tigrottone arancione a strisce nere, ma in quanti hanno visto per caso una foto di una tigre bianca e nera ed hanno esclamato: “Caspita, anche le tigri possono essere albine!”.

Amici, non fatevi cogliere in fallo dal compare più saputello: la tigre bianca NON è una tigre albina, ma una tigre con una mutazione a carico di un particolare gene.


Una coppia di tigri bianche allo zoo di Haifa
Foto di Zvi Roger - Haifa Municipality

Procediamo con ordine, la melanina sappiamo che è un pigmento che dà colore alla pelle ed ai capelli o più in generale ai peli del nostro corpo e del corpo degli animali. Ne esistono due varianti: la feomelanina produce colorazioni che vanno dal giallo al rossiccio, l'eumelanina dà colorazioni che vanno dal marrone al nero. Le tigri bianche non producono feomelanina, ma continuano a poter produrre eumelanina, per questo hanno un manto bianco a strisce nere.
Una tigre albina, invece, non potrebbe produrre nessun tipo di melanina e quindi sarebbe completamente bianca.

Uno studio cinese del 2013, che come sempre potete leggere per intero utilizzando i riferimenti a fondo pagina, si è concentrato sulle motivazioni della particolare colorazione della tigre e ne ha tratto alcune interessanti conclusioni.
Ci si è concentrati sui geni che erano i principali candidati per la colorazione del manto della tigre e si è visto che in particolare il gene SLC45A2 potrebbe essere la causa di tutto.
Questo gene codifica una proteina chiamata con il difficile nome di trasportatore proteico associato alla membrana, che nello specifico altro non è che una delle tante tipologie di porte girevoli che possediamo nella membrana di ognuna delle nostre cellule.
E' semplice: la cellula per sopravvivere deve rimanere un sistema controllato, quindi per far entrare ed uscire sostanze varie da essa è necessario utilizzare degli stratagemmi; uno di questi è il trasportatore di membrana, che assomiglia a quelle cabine che spesso sono all'ingresso delle banche, in cui entri, ti si chiude la porta dietro e poi ti si riapre davanti per lasciarti entrare nella banca vera e propria. In più, i trasportatori di membrana, all'interno, hanno l'esatta conformazione della molecola che devono trasportare.
Per fortuna quest'ultima cosa ce la risparmiano ancora nelle banche, sebbene spesso ci si chieda anche cos'altro dovrai lasciare nella cassettina all'ingresso, visto che la cabina continua a suonare e a non volerti far entrare.
Ecco, comunque, spiegata in parole povere la funzione delle proteine trasportatrici di membrana.
In particolare SLC45A2 si occupa della produzione della melanina e sembra che il cambiamento in un singolo mattoncino di tutta la proteina, sia responsabile per la mancata sintesi di feomelanina e dunque per l'esistenza di tigri bianche e nere. Volete sapere come? Facile, cambia la forma della “cabina” interna al trasportatore, quindi la molecola che prima veniva fatta entrare o uscire senza problemi, ora non ci entra più. Di conseguenza non si hanno più mattoni per produrre feomelanina.
La totalità delle tigri bianche oggi viventi sono state fatte nascere in cattività, grazie ad incroci controllati all'interno degli zoo. La variante bianca in natura è stata avvistata ed uccisa per l'ultima volta nel 1958, tuttavia non è detto che non ne esistano altre, data la rarità della mutazione.
Lo studio citato ha proprio voluto dimostrare che la mutazione a carico del gene SLC45A2 è naturale e non si produce solo in cattività.
Al contrario, gli individui fatti nascere da incroci controllati spesso vengono al mondo già morti o presentano deformità ed in generale non raggiungono l'età adulta. Le problematiche a carico dei cuccioli, infatti, derivano da fenomeni di inbreeding, incrocio tra individui troppo “vicini” geneticamente, mentre non ci sono in natura, dove le tigri bianche raggiungono tranquillamente la maturità.
Bene, ora che avete fatto una bella scorpacciata di genetica, distendete i neuroni con il post seguente ... questa settimana vi viziamo proprio!



mercoledì 28 maggio 2014

Rifiuto Biologico e I love Marche - Guest post su Lago di Pilato e Chirocefalo di Marchesoni

Questa settimana, amici lettori, Rifiuto Biologico è stato ospitato da un interessantissimo blog che parla di una terra tutta da scoprire: le Marche. L'unica regione plurale, dopo che anche gli Abruzzi, vedendo come buttava, sono tornati ad essere singolari.
Anche qui ci sono stati i terremoti, le alluvioni e le bombe d'acqua, ma almeno Ligabue e Jovanotti con il concertone ce li siamo risparmiati. 
I love Marche è un blog che offre moltissimi spunti per itinerari in questa stupenda regione, dove, se vuoi il mare e la montagna nello stesso giorno, hai solo bisogno di prendere casa in collina. 
Date un'occhiata al sito se volete approfondire le vostre conoscenze del territorio e magari programmare una vacanza o solo una "fermata" mentre scendete più a Sud, come hanno fatto la mia amica Chiara e suo marito l'anno scorso. 
Ce n'è per tutti i gusti, giuro, e poi ci sono le olive ascolane ed il ciauscolo!

Ad ogni modo, questa settimana Rifiuto Biologico ed I love Marche hanno collaborato per mettere su un post sul Lago di Pilato, situato sugli Appennini, vicino al confine umbro, ed i tanti misteri che aleggiano su questo luogo. Potete leggere il testo completo proprio qui

Dai, non fatevi pregare, scoprite le Marche, anche se sono al plurale; adesso abbiamo anche cambiato testimonial, non ci sono più le Winx con le scarpe ortopediche nè Dustin Hoffman che inciampa sull'Infinito di Giacomo: c'è Neri Marcoré!

venerdì 21 marzo 2014

Polipo e polpo per me pari (non) sono

Venire a cena con me non è mai stata la più gettonata delle circostanze per molti, per questo ancora mi stupisco di come alcuni riescano a sopportare uno dei miei passatempi preferiti: trovare gli errori grammaticali e non solo nel menù. Non sono così antipatica da puntualizzare la cosa con il cameriere, né con i miei commensali, a parte alcuni selezionati e “malati” come me, con i quali passo quasi la totalità delle serate.
Il più delle volte rido da sola, tra me e me, quando qualche errore compare, tuttavia ce n'è uno in particolare che mi infastidisce, ma che non viene compreso da molti.

Il polipo NON è il polpo. E viceversa.

Perchè? Sono due animali diversi, appartengono a due gruppi tassonomici completamente differenti e, soprattutto, malgrado la derivazione del nome dal greco sia la stessa, una sola vocale fa una grande differenza tra i due.
Ci tengo a puntualizzare che non ho riscontrato il problema solo in ristoranti appartenenti a stranieri, magari poco familiari con la lingua italiana, ma anche in moltissimi luoghi di ristoro italiani (e che si vantano di esserlo). Per dirne una, il polipo con le patate è un piatto quasi fisso come antipasto in molti ristoranti di gran lusso, anche se quello che vi servono è un polpo con patate.
La distinzione principale che va fatta è già quella che vi fa fare bella figura con gli amici: il polpo è un mollusco, il polipo è uno cnidario, cioè è della stessa famigliola delle meduse.
Il polipo, ad essere ancora più precisi, può essere uno degli stadi di sviluppo di alcuni tipi di medusa, oppure può rimanere polipo tutta la vita, dipende dal gruppo a cui appartiene.
Ad esempio, nella classe degli Antozoi, il polipo mantiene per tutta la vita la sua forma cilindrica con tentacoli apicali; è definito organismo bentonico sessile, cioè vive a stretto contatto con il substrato e non si sposta. Volete degli esempi? Gli anemoni di mare (sì, anche quella dove viveva Nemo nel cartone animato) oppure i coralli. La barriera corallina in realtà è un gigantesco condominio in cui vivono insieme degli organismi multicellulari e geneticamente identici grandi ognuno pochi millimetri. Ogni polipo è in grado di secernere una “placca” basale calcarea in cui si ritira nel caso venga “infastidito”. Negli anni, le placche formate dai vari polipi di generazione in generazione si sono accumulate l'una sull'altra ed hanno dato luogo alla barriera corallina.

Polypen einer Gorgonie
Polipi

Il polpo, invece, è un mollusco cefalopode. A questo punto mi sembra chiaro che le dimensioni non siano le stesse del polipo: un polpo può arrivare a misurare 25 centimetri solamente nel manto e in media dai 40 ai 100 centimetri per quel che riguarda i tentacoli.
Per dire, in “Alla ricerca di Nemo” un polpo era compagno di classe del pesciolino e parlava anche!
Non per fare torto ai piccoli polipi, ma il polpo, anche detto piovra, così ci togliamo ogni dubbio, è considerato uno degli invertebrati più intelligenti; ha dimostrato in molti test di saper apprendere e riconoscere per associazione, anche osservando altri polpi, fatto piuttosto strano dato che è un animale solitario e schivo. Altri test dimostrano che se date al polpo un barattolo chiuso con dentro una preda, lui riuscirà ad aprirlo.
Stupefacente se penso che certe volte io non riesco ad aprire un barattolo di sottaceti a mani nude.
Quello che mangiamo con le patate e che ha i tentacoli con le ventose, perciò, è un polpo o una piovra: facciamocene una ragione e correggiamo i menù.
Che diventi virale la distinzione tra i due!

Octopus vulgaris EL16p
Polpo o piovra