Di X-Men abbiamo già parlato quando abbiamo preso in esame le mutazioni genetiche.
Tuttavia, da qualcuno bisogna pur partire per iniziare a parlarne nello specifico.
Dovendo scegliere, io, autrice del testo e orgogliosa proprietaria di tanti cromosomi XX, ho scelto Wolverine/Logan come protagonista di un post che scavi nello specifico di questo gruppo di strani personaggi.
Wolverine |
L'ho scelto perchè, a mio parere, la storia di questo personaggio è una delle più interessanti e lo stesso si può dire del suo gene X: la capacità di rigenerazione praticamente illimitata.
Spendiamo due parole sul fatto che milioni di persone sono corse a vedere “Wolverine – L'immortale” solo pochi mesi fa, ma nessuno ha mai pensato a come sarebbe stato più loffio un titolo come “Ghiottone – L'immortale”, vera traduzione del nome dell'animale da cui il nostro X-Man prende il nome.
Il ghiottone |
Quindi smettiamola di immaginare che Wolverine sia un lupo piccolino; è un ghiottone, che per quanto si sforzi non sembra molto temibile, pur essendo un solitario e laborioso cacciatore di radici e pur riuscendo a spezzare il femore di una renna con un morso.
Inoltre, più che una buona vista ha un buon olfatto, fattore che impoverisce ulteriormente la figura di Hugh Jackman nel film, se andiamo a guardare. Tuttavia non dimentichiamo che il nome, a parte derivare da una leggenda indiana che viene raccontata a Logan dalla sua donna e che riguarda la triste storia d'amore della Luna e del suo amante, separati con l'inganno (ehm ehm, non siamo qui a svelare la trama, quindi passiamo sopra a questi dettagli), deriva dal fatto che un altro dei poteri di Wolverine è quello di avere dei sensi sviluppatissimi, come quelli dell' animale selvatico da cui prende il nome.
Ecco qua, dunque, che ci si presenta il nostro X-Man: un fattore di rigenerazione che gli permette di guarire da ogni ferita e frattura, una sensibilità “animale” e naturalmente il tratto più caratteristico: gli artigli ossei che gli spuntano da entrambe le mani. Il tutto ricoperto da una lega metallica chiamata adamantio e praticamente indistruttibile.
In che modo Logan sia riuscito ad ottenere la sua personale armatura di adamantio non ve lo sto a raccontare, ma potete immaginare da soli che non sia stato così facile e soprattutto indolore.
A corti discorsi potete fare quello che vi pare per uccidere Wolverine, ma se non avete qualche arma in adamantio non gli farete poi così male. Se viene ferito, si rigenera e l'unico piccolo problema che può avere avuto è stato un tizio che gli ha sparato in testa qualche proiettile. Di adamantio. Quindi Logan non si ricorda più nulla di nulla.
Qualche mese fa, durante le mie peregrinazioni internettiane, mi sono imbattuta in un articolo pubblicato su Cell da un gruppo di ricercatori della Harvard Medical School di Boston in cui si parla del gene Lin28a, da cui deriva una proteina responsabile della rigenerazione tissutale tramite alterazione del metabolismo. In pratica si tratta di una proteina regolatrice che almeno in parte agisce sul metabolismo del glucosio e promuove la ricostruzione di tessuti danneggiati. I modelli su cui questa proteina era stata finora studiata sono stati C. elegans (il nostro amico vermacchione) e lo zebrafish, tuttavia l'innovativo studio di cui sopra è stato compiuto su alcuni topi.
L'idea del gruppo di scienziati che si sono svegliati una mattina, si sono guardati allo specchio e si sono trovati terribilmente invecchiati, è la seguente: dato che il gene funziona molto di più durante gli anni giovanili del topo e poi perde la sua funzionalità, perché non manipolarlo un pochino e farlo tornare all'antica gloria nell'individuo adulto? In questo modo anche un individuo già sviluppato potrà ottenere di nuovo quelle capacità di rigenerazione tissutale ormai molto attenuate.
Tuttavia, i geni molto più spesso di quanto non si pensi lavorano in sinergia l'uno con l'altro, e dunque si è arrivati a concludere che esista la possibilità che ingegnerizzare solamente Lin28a possa non essere abbastanza o che comunque ci sia bisogno di identificare anche le molecole bersaglio di questo gene per avere un quadro più chiaro del meccanismo che giace al fondo. Di certo questo studio è un passo avanti per evidenziare gli effetti in vivo della manipolazione del gene e per poter approfondire nuove metodiche che aiuteranno nella cura di malattie che derivino da degenerazione e danneggiamento tissutale. Se volete documentarvi in modo approfondito su questo studio cliccate qui.
Inoltre, più che una buona vista ha un buon olfatto, fattore che impoverisce ulteriormente la figura di Hugh Jackman nel film, se andiamo a guardare. Tuttavia non dimentichiamo che il nome, a parte derivare da una leggenda indiana che viene raccontata a Logan dalla sua donna e che riguarda la triste storia d'amore della Luna e del suo amante, separati con l'inganno (ehm ehm, non siamo qui a svelare la trama, quindi passiamo sopra a questi dettagli), deriva dal fatto che un altro dei poteri di Wolverine è quello di avere dei sensi sviluppatissimi, come quelli dell' animale selvatico da cui prende il nome.
Ecco qua, dunque, che ci si presenta il nostro X-Man: un fattore di rigenerazione che gli permette di guarire da ogni ferita e frattura, una sensibilità “animale” e naturalmente il tratto più caratteristico: gli artigli ossei che gli spuntano da entrambe le mani. Il tutto ricoperto da una lega metallica chiamata adamantio e praticamente indistruttibile.
In che modo Logan sia riuscito ad ottenere la sua personale armatura di adamantio non ve lo sto a raccontare, ma potete immaginare da soli che non sia stato così facile e soprattutto indolore.
A corti discorsi potete fare quello che vi pare per uccidere Wolverine, ma se non avete qualche arma in adamantio non gli farete poi così male. Se viene ferito, si rigenera e l'unico piccolo problema che può avere avuto è stato un tizio che gli ha sparato in testa qualche proiettile. Di adamantio. Quindi Logan non si ricorda più nulla di nulla.
Qualche mese fa, durante le mie peregrinazioni internettiane, mi sono imbattuta in un articolo pubblicato su Cell da un gruppo di ricercatori della Harvard Medical School di Boston in cui si parla del gene Lin28a, da cui deriva una proteina responsabile della rigenerazione tissutale tramite alterazione del metabolismo. In pratica si tratta di una proteina regolatrice che almeno in parte agisce sul metabolismo del glucosio e promuove la ricostruzione di tessuti danneggiati. I modelli su cui questa proteina era stata finora studiata sono stati C. elegans (il nostro amico vermacchione) e lo zebrafish, tuttavia l'innovativo studio di cui sopra è stato compiuto su alcuni topi.
L'idea del gruppo di scienziati che si sono svegliati una mattina, si sono guardati allo specchio e si sono trovati terribilmente invecchiati, è la seguente: dato che il gene funziona molto di più durante gli anni giovanili del topo e poi perde la sua funzionalità, perché non manipolarlo un pochino e farlo tornare all'antica gloria nell'individuo adulto? In questo modo anche un individuo già sviluppato potrà ottenere di nuovo quelle capacità di rigenerazione tissutale ormai molto attenuate.
Tuttavia, i geni molto più spesso di quanto non si pensi lavorano in sinergia l'uno con l'altro, e dunque si è arrivati a concludere che esista la possibilità che ingegnerizzare solamente Lin28a possa non essere abbastanza o che comunque ci sia bisogno di identificare anche le molecole bersaglio di questo gene per avere un quadro più chiaro del meccanismo che giace al fondo. Di certo questo studio è un passo avanti per evidenziare gli effetti in vivo della manipolazione del gene e per poter approfondire nuove metodiche che aiuteranno nella cura di malattie che derivino da degenerazione e danneggiamento tissutale. Se volete documentarvi in modo approfondito su questo studio cliccate qui.
Il gene Lin28a è stato ribattezzato dalla stampa “Wolverine” per la lodevole associazione di idee di qualcuno che la sera precedente si era sparato il DVD sul divano e ne era rimasto piacevolmente colpito. Queste si chiamano coincidenze fortuite, ogni tanto capitano.
Ora godetevi i Survivor che fanno 80 chilometri per raggiungere la sala prove, per strada fanno finta di non conoscersi, poi alla fine si bagnano i capelli a turno: una fortuna per il tastierista che aveva una pettinatura inguardabile.