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venerdì 18 luglio 2014

La vite e la Fillossera

La scorsa settimana abbiamo parlato di come sopravvivere ad una degustazione ed abbiamo rispolverato l'assioma alla base dell'enologia: “il vino si fa con l'uva”.
Oggi parleremo della pianta che dà origine alla materia prima, diciamolo tutti in coro: la vite!
Anche se sembra che sia una pianta tutto sommato tranquilla, forse non immaginate che in passato ha rischiato l'estinzione in Europa. Sto esagerando? Lasciatemi partire dall'inizio.

Ci sono testimonianze dell'esistenza della vite fin dall'Era Terziaria (da 65 a 1,8 milioni di anni fa circa), il periodo in cui comparvero sulla Terra moltissime specie animali e vegetali. Da quel momento la pianta si è andata diversificando in tantissime varietà grazie a quattro fattori principali che hanno introdotto variabilità nel genoma:

1) la moltiplicazione sessuale;
2) la selezione naturale per l'adattamento a diverse condizioni climatiche;
3) la mutazione;
4) l'azione che l'uomo ha compiuto sulle colture per ottimizzare le caratteristiche del prodotto.

Ovviamente la vite fu coltivata in molte parti del globo, praticamente ovunque potesse attecchire, poiché da essa si potevano ricavare deliziosi frutti e una bevanda che nei secoli ha avuto i suoi estimatori in tutte le classi sociali. Il vino era anche, come lo è ancora d'altronde, un motore delle economie locali, dato che non a tutti piacciono le stesse cose e quindi si può giocare molto sulla varietà di colori, profumi e gusti.
Come ha anticipato un mio “fan” nei commenti al post della scorsa settimana, esiste infatti un'altra categoria tra quelle citate, che lui ha giustamente chiamato “amanti del vino”. Oltre ad essere un avvocato (chiarimento nemmeno tanto necessario una volta che avrete letto la sua definizione, ché gli avvocati, si sa, parlano latino molto spesso), è anche uomo di lettere e di fine umorismo, quindi  riporterò la sua definizione per capire meglio chi entra a far parte di questo gruppo.
Gli amanti "sanno" qualcosa, ma non hanno la presunzione di saper tutto, anzi desiderano sempre approfondire la conoscenza di ciò che amano.
E tendono il bicchiere, ma non acriticamente: nel senso
ex ante perché usano quel che sanno per fare una cernita, e nel senso ex post perché ricordano quel che hanno sperimentato e lo aggiungono ai criteri per le cernite successive.
In questo sono guidati appunto dalla conoscenza e dall' organolettica.
Con queste due ali anche lo sperduto può diventare amante.

Anche l'enologia ebbe, tuttavia, dei periodi molto difficili da superare.

Nella seconda metà dell'Ottocento, infatti, una vera e propria tragedia si abbatte sui vigneti europei.
Un minuscolo insetto, chiamato Fillossera (Daktulosphaira vitifoliae), sbarca dal Nuovo Continente sulle coste europee, portato dai primi battelli che facevano traversate oceaniche.
Le sue dimensioni sono pari a quelle di un afide e presenta polimorfismo funzionale, cioè gli individui della stessa specie presentano caratteristiche diverse in base alla loro funzione. Ad esempio, ci sono delle Fillossere con le ali ed altre senza, a seconda che debbano restare sulla pianta infestata oppure andare a deporre le uova su altre.

Fillossera con le ali

In generale, gli insetti di questa famiglia possono avere diverse piante preferite per l'attacco. E' nota anche la Fillossera che infesta il pero, ma oggi ci atterremo unicamente alle viti.
La Fillossera attacca le foglie e le radici della vite, provocando delle escrescenze su entrambe e deponendo le uova nelle galle (protuberanze) fogliari. L'infestazione è spesso accompagnata dall'attacco da parte di acari rizofagi e funghi.
L'avrete immaginato da soli che la pianta, nel giro di due o tre anni, deperisce pian piano fino a marcire.
Tuttavia l'attacco alle foglie piuttosto che alle radici dipende dalla pianta infestata.
La vite europea, ad esempio, non viene attaccata a livello dell'apparato fogliare, è immune alla puntura della Fillossera a questo livello, tuttavia le sue radici non lo sono.
I danni alle radici riguardano tutte le viti, ma si differenziano da specie a specie. Ad esempio, la vite americana in generale viene attaccata a livello radicale, ma solo alla periferia dell'apparato, dunque le radici non vengono compromesse nella totalità e la pianta supera indenne l'infestazione.

L'attacco dell'afide Fillossera distrusse in poco tempo i vigneti europei, primi fra tutti quelli francesi, e produsse gravi perdite economiche.

Fillossera che se la gode
in un'illustrazione del settimanale inglese Punch, 1890

Si cercò un rimedio, ma per circa trent'anni l'infestazione continuò inarrestabile.
Finalmente da Montpellier arrivò la proposta di Gustave Foeux, che si rivelò determinante nel fermare la moria di viti ed il collasso dell'industria vinicola: l'innesto della vite europea con quella americana.
Il ragionamento, a posteriori, era piuttosto semplice.
Alcune specie americane non venivano attaccate dalla Fillossera, poiché avevano sviluppato una resistenza nei suoi confronti, probabilmente dovuta a tanti anni di contatto con il parassita e quindi a mutazioni intervenute nel genoma.
Si decise quindi di innestare le radici della pianta americana resistente con la vite europea.
Fu il primo esempio di lotta biologica su larga scala e fu un vero e proprio successo, che salvò e salva ancora oggi l'intera produzione vinicola europea.

Vitis vinifera è la tipologia di vite coltivata in Europa ed è anche la pianta che si è deciso di innestare con la vite americana. Inizialmente, per la scelta di quest'ultima, si è ristretto il campo ai vigneti d'oltreoceano immuni alla Fillossera, poi sono stati creati degli ibridi per ottimizzare ancora di più le loro caratteristiche e questi ultimi sono stati innestati con Vitis vinifera.
Il risultato è stata una pianta di vite non attaccabile dal punto di vista delle radici e nemmeno da quello delle foglie, se ricordate quello che abbiamo detto poco sopra.
Se ve lo state chiedendo, le prime indagini dimostrarono che la parte radicale dell'innesto influisce solo sull'adattamento della pianta al terreno e sulla resistenza alla Fillossera, mentre la parte superiore della vite mantiene intatte le caratteristiche del vitigno europeo innestato.
Ovviamente prima di dare il via ad un intero vigneto l'innesto va testato.
Farne uno errato, infatti, può comportare un gran dispendio di denaro, dato che esistono parti radicali più o meno vigorose, che devono perciò essere associate a precise condizioni del terreno. La vigoria delle parti radicali, infatti, può influire sui tempi di maturazione e quindi sull'accumulo di zuccheri e polifenoli nell'uva.
Secondo quel che già sapete, il prodotto finale sarà quindi abbastanza differente nei vari casi.

Ora, per divertirci un po', metterò una foto e potrete indovinare dove è stata scattata.
Per il vincitore non ci sarà soltanto la gloria, ma anche la possibilità di scegliere un argomento per uno dei miei prossimi articoli e di risolvere (spero) così un dubbio biologico che aveva da tempo.
Per farvi venire più curiosità posso aggiungere che il soggetto della foto, ovviamente un vigneto per restare in tema, sarà l'oggetto del post della prossima settimana.
A parità di risposta esatta mi toccherà rispondere ai dubbi di tutti coloro che vinceranno, anche se, in questo caso, vi chiedo fin d'ora di essere pazienti e di venirmi un po' incontro con le tempistiche.
Non è per lusingarvi, ma so che siete dei bravi detective!
Vi aspetto nei commenti al blog o, se preferite, su Facebook, Google+ o Twitter.

Dove sarà?

giovedì 10 luglio 2014

SOS degustazione

Guida semplice per non intenditori

Quando si pronuncia la parola VINO si sa già che ci si troverà difronte a due tipologie di persone:

- l'intenditore, colui che semplicemente SA. Anche se non gli hai chiesto nulla ti darà dei consigli e ti racconterà la storia di quella bevanda a lui così familiare. Non sempre è detto che abbia studiato l'argomento, anzi i più noiosi sono proprio quelli che non lo hanno fatto. Per loro Socrate (o Platone, se siete dubbiosi) si sbagliava quando diceva: “So di non sapere”. Loro SANNO. Punto.

- il godereccio, colui a cui basta che sulla bottiglia (o sulla scatola, per quel che gli importa) ci sia scritta la fatidica parola per tendere il bicchiere.

Non so esprimermi su quale delle due categorie io trovi più fastidiosa, tuttavia sento di affermare senza dubbio che io faccio parte di una terza categoria, quella degli sperduti.
Provo una certa venerazione per il vino e per il processo che lo fa diventare quel che è, perchè rappresenta davvero un delicato equilibrio tra Natura e uomo. Allo stesso tempo, quando mi sembra di aver intaccato la superficie dell'argomento, nuove nozioni mi ributtano indietro al punto di partenza.
E' un po' come vedere la riva dal largo e non riuscire a raggiungerla, pur nuotando “con stile perfetto” [cit. Pensavo fosse amore e invece era un calesse].
Per questo motivo cerco sempre di attingere alle conoscenze del gruppo degli intenditori, per poi verificarle a casa e, nel caso siano giuste, ricordarle.

Per sopravvivere alle degustazioni, che siano organizzate oppure a casa dell'ennesimo collega o amico, bisogna ricordare delle cose fondamentali, come ad esempio che il vino si fa con l'uva.
Lo so, lo so che lo sapete già, ma forse troppo spesso dimentichiamo che il vino non è solo succo d'uva. Molte persone pensano che basti schiacciare l'uva ed aspettare perchè si verifichi una magia che lo trasforma in vino, una specie di riedizione delle nozze di Cana, ma senz'acqua.
Il succo d'uva a questo punto fermenta, così, senza una ragione, solo perchè qualunque frutto schiacciato produce il proprio succo, ma più alcolico. Se così fosse, anche schiacciando una fragola e lasciandola un po' lì a decantare, avremmo in tempi più o meno brevi un buon succo di fragola alcolico, a seconda del processo di fragolificazione. Che cosa cambia?
Sulla superficie dell'acino d'uva c'è una sostanza di natura cerosa, chiamata pruina, che crea una patina bianca che si rimuove al solo passaggio di un dito sulla buccia. La pruina viene prodotta dalle cellule superficiali dell'acino e lo protegge da eccessiva disidratazione e dai raggi ultravioletti. Inoltre, questa sostanza trattiene sulla superficie dell'acino alcuni lieviti che danno il via alla fermentazione. E' il lievito il primo responsabile della vinificazione!

Il lievito può sopravvivere con vari mezzi. Alcuni tipi respirano ossigeno, proprio come voi e me, mentre altri, in assenza di ossigeno, possono utilizzare la fermentazione, degradando zuccheri per ottenere energia, anidride carbonica ed etanolo, responsabile della gradazione alcolica.
Et voilà, ecco cosa accade nella tinozza in cui abbiamo pigiato l'uva: un microrganismo, in assenza di ossigeno ed in presenza di zuccheri presenti nel chicco d'uva, ricava energia in un modo diverso dalla respirazione aerobica e produce sostanze che cambiano il substrato, in questo caso il mosto, in vino.
Naturalmente, quella di cui abbiamo parlato finora è una versione molto semplificata del processo di vinificazione. E' possibile che, oltre ai lieviti “indigeni” dell'acino spremuto, debbano essere aggiunti altri lieviti, a volte anche per dare un particolare aroma alla bevanda finale.
Un buon bicchiere di vino al giorno è consigliato nella propria dieta, proprio perchè così si integra la propria alimentazione con i polifenoli, antiossidanti naturali. Il vino è stato oggetto di numerosi studi scientifici e per citarli tutti impazzirei, ma sembra realistico il fatto che l'ingestione di molecole antiossidanti con un bicchiere a pasto migliorerebbe la salute e molti dei parametri controllati con le analisi del sangue.
Tuttavia, dove si trovano queste sostanze ed esattamente in che momento della vinificazione i polifenoli passano nel vino?
Tutti sappiamo che l'uva per diventare vino deve essere spremuta in qualche modo, che sia con una macchina o con i piedi dei contadini non importa, comunque sia da questo processo nasce il cosiddetto mosto, che poi può essere allungato con dell'acqua a seconda delle preparazioni cui andrà incontro. Il mosto inizierà gradualmente a fermentare e, come abbiamo appena detto, potrà farlo già spontaneamente o potrà essere aiutato dall' aggiunta di ulteriori lieviti.
Esistono fondamentalmente due principali tipi di vinificazione, quella in rosso e quella in bianco, per ottenere le due differenti tipologie di vino.

Nel primo caso il mosto viene lasciato a contatto con le vinacce, cioè le bucce ed i piccioli dell'uva, e nelle prime fasi della fermentazione avviene il processo di macerazione: le sostanze antiossidanti contenute nella parte più esterna dell'acino e nei vasi più superficiali che si trovano a contatto con la buccia si trasferiscono al mosto in relazione alla temperatura e alla durata del contatto di quest'ultimo con le bucce stesse. Quindi, a seconda di quanto a lungo restano in contatto, avremo vini rosé e rossi in varie sfumature.
Nel caso della vinificazione in bianco, invece, le vinacce vengono separate e non avviene la macerazione. Questo vuol dire che il vino bianco non ha polifenoli? No, semplicemente ne ha molti meno rispetto a quello rosso perchè non viene lasciato a decantare con le bucce, ma una parte dei polifenoli utili viene comunque trasferita al mosto nel momento della spremitura delle uve.



Questa è una breve guida molto semplificata, che può servire comunque per cavarsela egregiamente in caso di degustazione. Inoltre ci servirà come introduzione per alcuni post successivi in cui potrò descrivervi la mia esperienza alle degustazioni di vino ed una piccola gita che ho effettuato nei miei 20 giorni sabbatici di assenza dal blog.
Vorrei celebrare, inoltre, il principio di collaborazione donando un'immaginaria medaglia al Dr Bonavia, prezioso chimico per i momenti di confusione scientifica, per avermi permesso di districarmi nel mondo dei polifenoli e per avermi evitato di scrivere castronerie o semplici imprecisioni. La competenza è fatta di dettagli, dal mio punto di vista.
Ora vi lascio con questo delizioso cartone animato, so già che vi piacerà! In questo caso, faccio l'intenditrice e non la sperduta.