mercoledì 28 maggio 2014

Rifiuto Biologico e I love Marche - Guest post su Lago di Pilato e Chirocefalo di Marchesoni

Questa settimana, amici lettori, Rifiuto Biologico è stato ospitato da un interessantissimo blog che parla di una terra tutta da scoprire: le Marche. L'unica regione plurale, dopo che anche gli Abruzzi, vedendo come buttava, sono tornati ad essere singolari.
Anche qui ci sono stati i terremoti, le alluvioni e le bombe d'acqua, ma almeno Ligabue e Jovanotti con il concertone ce li siamo risparmiati. 
I love Marche è un blog che offre moltissimi spunti per itinerari in questa stupenda regione, dove, se vuoi il mare e la montagna nello stesso giorno, hai solo bisogno di prendere casa in collina. 
Date un'occhiata al sito se volete approfondire le vostre conoscenze del territorio e magari programmare una vacanza o solo una "fermata" mentre scendete più a Sud, come hanno fatto la mia amica Chiara e suo marito l'anno scorso. 
Ce n'è per tutti i gusti, giuro, e poi ci sono le olive ascolane ed il ciauscolo!

Ad ogni modo, questa settimana Rifiuto Biologico ed I love Marche hanno collaborato per mettere su un post sul Lago di Pilato, situato sugli Appennini, vicino al confine umbro, ed i tanti misteri che aleggiano su questo luogo. Potete leggere il testo completo proprio qui

Dai, non fatevi pregare, scoprite le Marche, anche se sono al plurale; adesso abbiamo anche cambiato testimonial, non ci sono più le Winx con le scarpe ortopediche nè Dustin Hoffman che inciampa sull'Infinito di Giacomo: c'è Neri Marcoré!

giovedì 22 maggio 2014

Vivi, morti o X (men)

Ormai in molti conoscono gli X-Men, volenti o nolenti.
In più, ci si divide sostanzialmente in tre gruppi: quelli che sanno tutto sia dei film che dei fumetti da cui sono stati tratti, quelli che vedono dieci secondi di trailer e cambiano canale, quelli che guardano i film, li trovano belli, ma fermati lì.
Poi ci sono quelle che ti dicono “Io degli X-Men conosco Wolverine”, chissà perché.
Personalmente non sono una fan dei fumetti, anche se, grazie ai film ed alla passione di alcune persone a me molto vicine, sono rimasta piacevolmente colpita da quel che giace al fondo di questa saga. Siccome in molti si stanno preparando ad invadere i cinema per l'arrivo, proprio oggi, del nuovo capitolo della serie, mi sembrava opportuno scrivere qualcosina, anche per le sventurate (di solito sono le fidanzate, in questo caso) che saranno trascinate senza pietà a godersi ore di combattimenti, lettura nel pensiero ed uno strano caschetto.
Per fortuna che c'è Wolverine, sul quale ci dilungheremo in un post successivo.
Innanzitutto gli X-Men si chiamano così perché tutti quanti possiedono il Gene X, una mutazione a carico del loro genoma che conferisce loro caratteristiche straordinarie. Solo per fare un esempio: capacità di telepatia o telecinesi, possibilità di manipolare gli elementi atmosferici o i campi magnetici, resistenza fisica portata all'impossibile, capacità di mutarsi completamente in qualsiasi altra persona.
La caratteristica che mi porta ad apprezzare particolarmente questo gruppo di personaggi è che, a differenza di una miriade di altri loro colleghi, i loro poteri non sono derivati da un incidente straordinario, come è avvenuto per Spiderman o per Hulk, ma da un avvenimento naturale, sebbene ovviamente portato nel campo della fantascienza.

Il primo albo di fumetti sugli X-Men fu pubblicato nel 1963 da Marvel Comics. In esso i mutanti erano solo un piccolo gruppo di adolescenti, non accettati dal mondo ed in preda a cambiamenti profondi di psiche e corpo. Problemi comunque più pressanti nel loro caso rispetto alla normale acne o ad altezze sproporzionate di ragazzini sottilissimi dal discutibile odore. Quando non sei né carne né pesce, insomma, anche se per gli X-Men c'era qualche problemino in più.
La tematica del fumetto scava, tuttavia, ancor più nel profondo. Al centro ci sono la diversità del mutante, essere mostruoso ed incompreso in un mondo di umani e perciò considerato pericoloso. Il vero problema, tuttavia, è che di mutanti non ce ne sono proprio pochissimi nel mondo, quindi gli umani “normali” tentano di arginare il fenomeno con sperimentazioni su sieri che possono far “guarire” dal Gene X o semplicemente mettendo in atto la volontà di registrare i mutanti.
Un primo passo verso la discriminazione e l'odio razziale, insomma.
In tutto ciò gli stessi X-Men si dividono in due fazioni; da un lato Charles Xavier, potente telepate, fiducioso in un utopico mondo in cui mutanti ed umani coesistono, dall'altro Magneto, in grado di manipolare metallo e campi magnetici a suo piacimento, ostile agli umani e sostenitore della superiorità dei mutanti.
Una storia affascinante e ricca di sfaccettature, probabilmente per questo motivo il rilancio sul grande schermo ha rivalutato anche le sorti del fumetto.

La mutazione è da sempre stata la base dell'evoluzione poiché determina la variabilità genetica che possiamo individuare con un unico sguardo alle persone intorno a noi.
Di che cosa si tratta? Si definisce come un cambiamento permanente ed ereditabile del patrimonio genetico e può avvenire in qualsiasi organismo. Si tratta di un processo lento e casuale, che può risultare in un cambiamento positivo, negativo o indifferente per l'individuo mutato.
Un esempio che mi è sempre sembrato molto esplicativo è il caso della Biston betularia, una falena che si mimetizzava su tronchi di albero ricoperti da licheni di colore chiaro, dato che anch'essa aveva ali chiare che le permettevano di passare inosservata ai predatori.

Biston betularia morpha typica
Foto di Olaf Leillingen

Con l'avvento della rivoluzione industriale in Inghilterra, molti di questi licheni scomparvero ed il tronco degli alberi annerì per l'inquinamento ed i fumi industriali. Le falene che, per una mutazione, nascevano con le ali scure avevano un vantaggio notevole nei confronti di quelle con le ali chiare e sicuramente venivano predate in misura molto minore. 

Biston betularia betularia morpha carbonaria
Foto di Olaf Leillingen

Dopo un certo periodo di tempo la popolazione dalle ali scure soppiantò completamente quella delle sorelle con ali biancastre. Il fenomeno fu chiamato “melanismo industriale” e fu spiegato come una mutazione spontanea del gene responsabile del colore delle ali accompagnato da una selezione naturale sfavorevole per le falene che in un primo tempo erano il gruppo predominante, quelle dalle ali chiare.
Le mutazioni possono essere spontanee o indotte da agenti esterni, come sostanze chimiche, ad esempio; senza scomodare i rifiuti tossici, basti pensare alle sostanze contenute nello scarico dei motori, nelle sigarette o nella parte carbonizzata dei cibi. Anche i raggi ultravioletti sono mutageni
La mutazione può interessare una piccolissima parte del genoma, un intero gene o una zona ancora più grande del nostro corredo genetico.
Se per l'organismo esiste la capacità di mutare, esiste anche l'opposto, cioè un meccanismo di riparazione del genoma mutato. E' come una bilancia: se il tasso di riparazione è alto, quello di mutazione è ridotto e viceversa. I vari meccanismi di riparazione, tuttavia, differiscono da più semplici a più complessi, anche se non sempre quelli più complessi corrispondono ad un maggior livello evolutivo. Gli umani, ad esempio, hanno in comune alcuni di questi meccanismi con le mosche.
Avremo modo di approfondire alcuni interessanti casi di mutazione in altri post, nel frattempo vi lascio con una battuta del film X-Men, che riporta nel mondo della finzione le basi scientifiche di cui abbiamo parlato oggi insieme.

La mutazione è la chiave della nostra evoluzione, ci ha consentito di evolverci da organismi monocellulari a specie dominante sul pianeta. Questo processo è lento e normalmente richiede migliaia e migliaia di anni, ma ogni centinaio di millenni l'evoluzione fa un balzo in avanti.

- Charles Xavier - 





giovedì 15 maggio 2014

La melata e il melo, parenti o no?

Personalmente non sono una grande estimatrice del miele, nel senso che averlo come ingrediente nei dolci mi piace molto, ma il solo pensiero di mangiarlo direttamente su una fetta di pane mi dà un'impressione di dolore ai denti.
In Italia esistono moltissime realtà che producono miele e altrettante attività volte a promuoverne il consumo e valorizzarne la qualità.
Ad ogni fiera, inoltre, non manca mai lo stand che vende miele.
A quella in onore del patrono della mia città natale, c'è sempre una bancarella, sotto al loggiato comunale, che espone una teca con dentro moltissime api ed un' apona gigante che altri non è se non la regina. La gente si ferma a guardarle; io, che ho un conto in sospeso con le api da quando mi hanno punto alla fontana dei giardinetti, passo oltre velocemente.
Ciò non toglie che questi insetti siano in qualche modo ammalianti, con i loro voli tutt'altro che casuali ed i compiti perfettamente divisi. Oltre a ciò, appunto, producono questo nettare dalle proprietà straordinarie, il miele, e tutta una serie di altri composti estremamente utili: la pappa reale, nota alle madri di una buona parte del globo, e la propoli, di cui tutti conosciamo le proprietà fondamentali quando “giù nel gargaroz sentiamo il diavoloz” [cit. Elio e le Storie Tese].
E' facile perdere la bussola davanti agli espositori di negozi e bancarelle, dato che ogni miele, meraviglia delle meraviglie, può provenire da una pianta diversa. C'è il miele di betulla, quello di castagno, il millefiori, il miele di fiori d'arancio e via dicendo. Poi c'è anche il miele di melata.
Io ho sempre pensato che la melata fosse un albero, tipo una variante del melo. Poi, dato che a casa mia la domenica a pranzo eravamo sempre sintonizzati su Linea Verde, ho imparato che le cose non stanno così e non vedrò mai nella mia vita un albero di melata. 
Vi spiego perchè.
Il miele di melata è l'unico miele che le api non producono a partire dal nettare dei fiori.
La melata, infatti, è una secrezione zuccherina emessa da particolari tipi di insetti che si nutrono della linfa della piante succhiandola direttamente da esse.
I piccoli insetti, appartenenti al gruppo degli Omotteri, usano come unico alimento della loro dieta la linfa, tuttavia hanno bisogno di soddisfare anche il loro fabbisogno di amminoacidi, oltre a quello di zuccheri. La linfa contiene amminoacidi solo in minima parte, quindi, per arrivare alla quota che serve loro per vivere, devono prelevarne moltissima e “buttare” molta della parte zuccherina di questo fluido.
Questi insetti riescono a farlo grazie ad un adattamento del loro sistema digerente, chiamato camera filtrante, che permette appunto di filtrare acqua e zuccheri e convogliarli verso l'intestino posteriore. Così facendo, si concentra il substrato aminoacidico da assorbire e si mandano l'acqua e gli zuccheri scartati verso la parte posteriore dell'intestino e dunque verso l'ano, da cui vengono espulsi in piccole goccioline.
In ambienti aridi o desertici, come la Sierra Nevada, l'Australia e il Medio Oriente, la melata è un mezzo diretto di sostentamento, data l'alta concentrazione di zuccheri.
In ambienti in cui scarseggiano le piante da bottinare, le api stesse ricorrono a questa sostanza zuccherina per fare il miele. A partire dagli anni ottanta, specie nella parte centro settentrionale della penisola italiana, si sono susseguite delle infestazioni di Metcalfa pruinosa, un insetto omottero di difficile controllo, che raggiunge alte densità di popolazione e quindi dà avvio alla produzione di un'altissima quota di melata e di conseguenza alla possibilità di avere ingenti quantità di miele di melata. A volte, proprio per questa ragione, esso viene definito anche miele di Metcalfa.
Questo tipo di miele viene più apprezzato dagli abitanti del Nord Europa poiché non è particolarmente dolce, è di colore scuro ed è anche molto denso. Ha, insomma, un gusto particolare che si discosta dalla dolcezza del miele a cui siamo abituati.
Da un punto di vista ecologico, inoltre, la melata è un'importante fonte alimentare per un vasto numero di insetti, i quali, quando scarseggia il nettare, la usano come cibo. E' il caso degli appartenenti al gruppo dei Ditteri (mosche) ed a quello degli Imenotteri (api, vespe, formiche).
Come bonus, l'immagine di una formica beona.

Imenottero con una goccia di melata - Autore: Böhringer Friedrich (Opera propria)   

Vi lascio con un video in cui si vede sia la Metcalfa che l'ape intenta a raccogliere la melata dalle foglie.


 Il miele di melata - Metcalfa e ape al lavoro



giovedì 8 maggio 2014

Elogio della lentezza - Il pesce elefante

Al secondo anno di università in molti abbiamo sbattuto la faccia contro l'Anatomia Comparata dei Vertebrati. Il nostro professore sembrava poco evoluto nei rapporti umani e le sue lezioni erano delle lunghe dissertazioni su alberi filogenetici lunghissimi e complicati. Come se non bastasse, a questa sua scarsa propensione alla giovialità si aggiungeva il fatto che quasi tutti gli studenti lasciavano il suo esame per ultimo e lo supplicavano di lasciarli liberi dal giogo universitario anche con un diciassette e tre quarti e un calcione nel didietro.

Lui, in modo piuttosto prevedibile, non era contento e bocciava quasi tutti.

Quindi i suoi esami erano le sedi in cui venivano alimentate le più bieche leggende metropolitane, tipo che se facevi la tesi con lui ti faceva stare delle giornate intere a contare le scaglie di un pesce al microscopio, oppure che all'imbrunire diventasse Mister Hyde.

Il suo esame consisteva unicamente di un colloquio orale su un tomo scritto piccolissimo, che se avevi il libro fotocopiato non riuscivi a prendere un voto alto al primo appello perché al capitolo dieci i tuoi genitori dovevano portarti dall'oculista. 
La stranezza del professore risiedeva anche nel fatto che, al momento della tua grande prova, lui ti metteva davanti un modellino e ti chiedeva di spiegarlo. In molti erano sopraffatti dalla richiesta di spiegazione su un gigantesco uovo di struzzo che era effettivamente accanto a te mentre tentavi di non svenire sulla sedia.

Tuttavia, io ricordo che, a parte un momentaneo senso di sconvolgimento quando ti accorgevi che non stavi più parlando di animali “senza spina dorsale” e che l'evoluzione di rettili e anfibi apparteneva, in fondo in fondo, allo stesso filo che giustificava la tua presenza sulla terra, la materia era stupenda. Difficile, ramificata, mnemonica in molti punti, ma deliziosa. A distanza di anni (ahimé) non ricordo nulla di particolare, ma ricordo con meraviglia la soddisfazione di vedere i tanti apparati che abbiamo ancora oggi in corpo mutare nel tempo e nei vari gruppi.

Non appena i violini avranno smesso di suonare questa bella melodia nostalgica che accompagna il mio momento della memoria, inizieremo a parlare dell'argomento di oggi: il pesce elefante, diverso dallo squalo elefante, per chi avesse il dubbio.

Intanto ha una faccia piuttosto simpatica e possiede una proboscide molle con cui cerca sotto alla sabbia dei fondali il suo cibo, di solito costituito da crostacei. Il pesce elefante vive nei mari dell'Australia e della Nuova Zelanda ed il suo nome scientifico è Callorhinchus milii.

A gennaio di quest'anno è stato pubblicato un interessante articolo su Nature che parlava con enfasi estrema del fatto che il genoma del pesce elefante era stato finalmente sequenziato.

Grida di stupore degli scienziati, groupie impazzite sotto alla sede della conosciuta rivista scientifica.

B. Venkatesh, uno degli autori dello studio, con un pesce elefante.
"Lo sequenzio io il tuo genoma!"
(Courtesy of B. Venkatesh)
 
In generale, è una cosa che interessa soltanto un ristretto gruppo di persone addette ai lavori, come spesso accade quando si va nello specifico di qualsiasi materia. Per dire, è lo stesso effetto che mi farebbe sapere che Leopardi come spuntino pomeridiano mangiava un kiwi. Io probabilmente mi chiederei dove li trovava all'epoca, ma gli studiosi di letteratura parlerebbero per giorni di come il kiwi abbia influenzato la poetica di Giacomo.

Senza un contesto è difficile far quadrare le cose, nel caso del pesce elefante o callorinco il sequenziamento è importante perché innanzitutto ci dice che ha un genoma abbastanza limitato, circa un terzo di quello umano. In secondo luogo questo genoma è molto “datato”, se mi passate il termine.

Il callorinco è stato definito come l'animale in assoluto più lento al mondo ad evolvere.

Il suo DNA è oggetto di studio perché questo pesce si può definire un fossile vivente. Studiando i suoi geni, è possibile avere una fotografia, da mettere man mano a fuoco con successivi studi, dei primi stadi dell'evoluzione.

Il termine fossile vivente fu coniato da Charles Darwin per indicare quegli organismi animali e vegetali che hanno avuto un tasso di evoluzione molto basso e perciò sono rimasti invariati per centinaia di migliaia di anni. Un esempio è il Ginkgo biloba, una pianta che esisteva ai tempi dei dinosauri, ed era alta dai 30 ai 40 metri.

Parlando del regno animale, tuttavia, in principio c'erano gli gnatostomi: un gruppone in cui sono stati inseriti tutti i Vertebrati provvisti di mandibole.

La storia evolutiva procede dai pesci (cartilaginei e poi ossei), agli anfibi, ai rettili, agli uccelli e continua con i mammiferi. E' chiaro che dei gruppi più recenti abbiamo moltissime testimonianze, ma è altrettanto ovvio che studi sul genoma dei cosiddetti fossili viventi ci aiuta a capire le tappe evolutive delle specie più antiche.

Dagli gnatostomi, infatti, nascono due gruppi diversi tra loro: i pesci cartilaginei e quelli ossei, distinti tra loro per l'elemento che forma il loro scheletro. Da un lato abbiamo infatti la cartilagine, dall'altro, appunto, il tessuto osseo.

Il pesce elefante ha un genoma talmente “vecchio” che è più simile a quello dei primi gnatostomi di circa 450 milioni di anni fa, rispetto ai pesci ossei odierni, suoi non troppo lontani cugini.

E' importante studiarne il contenuto per conoscere meglio le radici del processo evolutivo che ha portato fino a noi.
Lo studio in questione è stato pubblicato da un gruppo di ricercatori di Singapore e St Louis e lo potete leggere qui.
Tra le altre cose, questa ricerca potrebbe riuscire a spiegare il motivo per cui i pesci ossei hanno le ossa e quelli cartilaginei no. L'ipotesi fatta dagli scienziati è che al pesce elefante manchino i geni per alcune proteine che legano il calcio e promuovono l'ossificazione.

Semplicemente, non le producono perchè nel loro DNA non ci sono le istruzioni per farlo.

Infatti, in esperimenti su pesci ossei in cui sono stati silenziati i geni che effettivamente sono assenti nel callorinco, si è visto che lo scheletro dei pesciolini in esame rimaneva costituito di cartilagine.

Lo studio sul genoma del pesce elefante permetterà anche di imparare qualcosa di più sui meccanismi di immunità specifica del nostro organismo, un altro sguardo alle radici per capire meglio il funzionamento odierno del nostro sistema immunitario.

A cosa serve tutto ciò? A fare luce sui meccanismi evolutivi, che spesso si rivelano concatenati anche se ad un primo sguardo possono sembrare totalmente estranei.

Per fortuna la Natura non ci ha lasciato orfani di questi animali dall'antico retaggio ancora scritto nel DNA e ci permette di guardare indietro per andare avanti con i nostri studi.

A volte, la lentezza è un pregio.


giovedì 1 maggio 2014

Angelo, i crostacei e gli Indiani d'America

Può piacere o non piacere, comunque Angelo Branduardi rimane uno dei cantanti italiani più amati degli ultimi anni. La sua personalità creativa ed originale ed il suo talento musicale sono scarsamente ignorabili.
Inoltre, a me piace molto, nel caso non fosse chiaro fino a questo momento.
Forse saranno i capelli che mi ispirano simpatia, perché da un certo punto di vista sono simili ai miei, tuttavia i suoi ritmi un po' strani e le sue canzoni, se vogliamo un po' demodé, fanno da sempre parte del mio repertorio culturale.
Per rispondere alla domanda che si sarà affacciata alla vostra mente, non sono impazzita e non voglio annoiarvi con i miei gusti musicali. Vorrei parlarvi della Daphnia magna.

Iniziamo dalle basi: che cos'è l'ecotossicologia?
Essa è stata definita da Truhat nel 1977 come la branca della tossicologia che si occupa dello studio degli effetti tossici causati da inquinanti naturali o sintetici sui costituenti degli ecosistemi animali, vegetali o microbici.
L'ecotossicologia quantifica gli effetti dei fattori di stress sulle popolazioni naturali, comunità o ecosistemi. Quello che si fa con gli esami di laboratorio, in pratica, è il monitoraggio del grado di inquinamento, in modo che si riesca a predire, per quanto possibile, i suoi effetti e si riescano a prendere le contromisure necessarie. Queste analisi vengono svolte con l'aiuto di bioindicatori, organismi che possiedono determinate caratteristiche e sono sensibili a particolari sostanze inquinanti.
La Daphnia magna è un piccolissimo crostaceo usato nei test di tossicità delle acque, poiché estremamente sensibile all'inquinamento da metalli pesanti (piombo, cadmio, zinco, rame ecc.).
Il test di tossicità acuta viene effettuato su concentrazioni differenti di inquinante, così da determinare gli effetti tossici sul crostaceo in presenza di quantità diverse di metalli pesanti.
I neonati di Daphnia vengono messi nel campione e, dopo un periodo di tempo prestabilito (24h o 48h), si osserva quanti ne sono sopravvissuti.
Il test di tossicità cronica, invece, ha una durata di 21 giorni. I presupposti sono gli stessi, la differenza sta nel fatto che, al termine del periodo, viene rilevato il numero totale di neonati vivi prodotti da ciascun progenitore vivo alla fine del test.

  
30 secondi di Daphnia magna

L'ecotossicologia sta prendendo sempre più campo nelle analisi di monitoraggio di vari tipi di acque, dagli scarichi alla balneazione, perciò è importante sapere che questi piccoli crostacei sono di fondamentale aiuto non solo per l'uomo, ma anche per la loro stessa specie. Infatti fanno in modo che sia possibile prendere delle misure di salvaguardia da questi inquinanti, che salveranno non solo il genere Daphnia, ma anche molti organismi che vivono nel loro stesso habitat. Ad esempio, molti pesci si cibano di questi piccoli crostacei e si è notato che la morte di questi ultimi nei corsi d'acqua inquinati ha portato anche alla scomparsa di alcune specie ittiche.
La Daphnia è, infatti, una delle basi della catena alimentare delle specie di acqua dolce.

Che cosa c'entra questo post con Branduardi? 
Il nome comune della Daphnia magna è “pulce d'acqua” ed il menestrello prese l'idea per la sua canzone da un'antica leggenda dei nativi d'America, narrata da Jaime de Angulo nel libro “Racconti indiani”.
Si narrava, tra le tribù californiane di pellerossa, che durante la notte la propria ombra si staccasse dal corpo e se ne andasse a vagare per i dintorni. All'alba la prima cosa da fare era cantare per farla ritornare, poiché senza un'ombra non è possibile vivere, ci si ammala e si muore poco dopo.
Il racconto di Jaime De Angulo narra le vicende di una famiglia di animali – uomini, personaggi che hanno un po' degli uni e un po' degli altri, che compie un lungo viaggio. Durante il tragitto uno degli adulti si ammala e, dopo aver consultato una sciamana, capisce che la sua malattia deriva dal fatto che la sua ombra gli è stata rubata appunto da una pulce d'acqua.
Il motivo? Aver riso di lei mentre volteggiava nell'acqua, anche se l'uomo lo aveva fatto senza alcuna volontà derisoria, ma semplicemente perché il piccolo animale lo aveva divertito. Tuttavia, la moglie del protagonista dice, giustamente: “Tu cosa diresti se uno straniero venisse al tuo campo, ti fissasse a lungo e poi iniziasse a ridere di te tenendosi i fianchi?”.
Il mattino seguente la sciamana dà una soluzione per riprendersi la propria ombra: andare nel posto in cui quest'ultima è stata rubata e cantare una canzone, che farà salire la pulce d'acqua in superficie. A quel punto bisognerà chiedere indietro all'esserino la propria ombra in modo fermo e asciutto e poi andarsene senza discutere con la pulce.
Inutile dire che la strategia funzionò e l'ombra fu restituita.
Leggendo il resto del libro, gli altri animali nominati nel testo, cioè la serpe verde e la mosca d'autunno, sembrano essere presenti in alcuni canti sciamanici citati, pieni di potere magico e curativo. E' possibile che si tratti di riferimenti alle tante creature presenti nel folklore dei nativi americani.
Attenzione, quindi, a deridere i piccoli esserini intorno a voi … se sono permalosi, c'è la possibilità che vi facciano un brutto scherzo!


Angelo Branduardi - La pulce d'acqua