sabato 26 luglio 2014

Panda per tutte le stagioni

Oggi si parla di panda.
Non quelle a quattro ruote, bensì quelli a quattro zampe, morbidosi e che nascono solo in modalità bicolore: i panda giganti o panda maggiori, il cui nome scientifico è Ailuropoda melanoleuca e sono diversi dal panda rosso.
Tutti sappiamo che sono in via d'estinzione, non a caso proprio questo animale è il simbolo del WWF, a monito dell'impegno di questa associazione per la salvaguardia delle specie in pericolo.
I panda giganti vivono in Cina, per la precisione tra le montagne del Sichuan, e sono della stessa famiglia degli orsi (Ursidae). 
Verrebbe da dire che sono anch'essi carnivori, come dimostrerebbe il loro stomaco semplice ed il loro apparato gastro – intestinale, ma chi di noi si immagina minacciato da uno sbavante panda nei propri sogni? E' molto più probabile pensare a questo animale accoccolato ai piedi di una pianta di bambù, mentre ne sgranocchia i germogli o le foglie.
I panda, infatti, sono erbivori per la quasi totalità; la loro dieta è basata sul consumo di due specie di bambù: il wood bamboo e l'arrow bamboo. Queste due tipologie di piante vivono ad altitudini diverse nell'habitat del panda ed uno studio molto recente ha provato a dimostrare quanto il panda sia abile nel bilanciare le due risorse al fine di ottenerne i nutrienti fondamentali per la sua dieta.
Il panda, lo ripetiamo, non ha un sistema digestivo adatto a scomporre piante così ricche in lignina e fibre come il bambù. Inoltre la sua dieta è povera di proteine.

Come fa allora a vivere da erbivoro, se non è “costruito” per esserlo?


Kung Fu Panda usa lo yoga
per digerire lignina e fibre del bambù

Lo studio a cui ci riferiremo è stato portato avanti per sei anni da istituti di ricerca cinesi, australiani e statunitensi e potete, come sempre, prenderne visione qui.
I ricercatori coinvolti hanno studiato il comportamento di un gruppo di panda in relazione alla loro alimentazione ed al cambiamento della stessa a seconda dei loro spostamenti durante le varie stagioni dell'anno. Si è presa in considerazione la quantità di tre elementi principali nella dieta del panda: il calcio, il fosforo e l'azoto, fondamentali nella riproduzione e nella crescita, come in tutti i mammiferi.
Dallo studio emerge che il comportamento del panda cambia a seconda delle stagioni.
Ora non immaginate il costume da bagno o la sciarpa di lana, si tratta di una variazione nella tipologia di cibo e nell'altitudine a cui lo trovano. Vediamo in breve le varie fasi.

PRIMAVERA
E' la stagione dell'accoppiamento.
I panda si cibano di germogli di wood bamboo, ad alto contenuto di azoto e fosforo, ma a basso contenuto di calcio.

GIUGNO
I panda salgono più in alto per mangiare germogli di arrow bamboo, sempre ricchi di nutrienti, ma con poco calcio.

TARDO LUGLIO
i panda si nutrono delle foglie di arrow bamboo, ad alto contenuto di calcio.

AGOSTO
Le femmine di panda tornano a più basse altitudini e, dopo circa tre mesi di gestazione, danno alla luce i loro cuccioli, i più piccoli della famiglia Ursidae. Le neo mamme si nutrono di foglie di wood bamboo, con un maggior contenuto di nutrienti e calcio, quest'ultimo utile per la produzione di latte.

INVERNO
Le foglie di wood bamboo avvizziscono, diminuendo la quantità di nutrienti fornita e mettendo in pericolo l'esistenza stessa dei panda, per i quali l'inverno è una stagione piuttosto problematica. Sembra, tuttavia, che essi riescano ad ottenere sostentamento anche da altre fonti per sopperire alla mancanza di nutrienti derivanti dal bambù.

Lo studio internazionale ha voluto studiare meglio la stupefacente sincronizzazione del ciclo vitale e riproduttivo dei panda giganti con le due specie di bambù che gli forniscono cibo per la totalità dell'anno.
Inoltre i ricercatori hanno ipotizzato che il calcio sia un fattore determinante per l'impianto in utero dell'embrione di panda, dato che è tipico di questa specie il cosiddetto impianto ritardato, distante anche mesi dalla fecondazione. Una delle motivazioni potrebbe essere che l'impianto segua le fluttuazioni del calcio nella dieta e che l'embrione attecchisca solo quando i livelli di questo elemento nella dieta della madre sono più alti.
Quest'ultimo fattore, sommato al fatto che il panda ha un periodo fertile molto ristretto durante tutto l'anno, mette in luce come sia fondamentale preservare l'habitat in cui vive il panda gigante se si vuole garantire la sua sopravvivenza.

Ci salutiamo con la vignetta di uno dei fumettisti che seguo con più piacere, che ha come protagonista, appunto, un simpatico panda.
Con un'estate così, poi, sarebbe sicuramente confuso anche riguardo a quali germogli mangiare!

Credits www.pandalikes.com

venerdì 18 luglio 2014

La vite e la Fillossera

La scorsa settimana abbiamo parlato di come sopravvivere ad una degustazione ed abbiamo rispolverato l'assioma alla base dell'enologia: “il vino si fa con l'uva”.
Oggi parleremo della pianta che dà origine alla materia prima, diciamolo tutti in coro: la vite!
Anche se sembra che sia una pianta tutto sommato tranquilla, forse non immaginate che in passato ha rischiato l'estinzione in Europa. Sto esagerando? Lasciatemi partire dall'inizio.

Ci sono testimonianze dell'esistenza della vite fin dall'Era Terziaria (da 65 a 1,8 milioni di anni fa circa), il periodo in cui comparvero sulla Terra moltissime specie animali e vegetali. Da quel momento la pianta si è andata diversificando in tantissime varietà grazie a quattro fattori principali che hanno introdotto variabilità nel genoma:

1) la moltiplicazione sessuale;
2) la selezione naturale per l'adattamento a diverse condizioni climatiche;
3) la mutazione;
4) l'azione che l'uomo ha compiuto sulle colture per ottimizzare le caratteristiche del prodotto.

Ovviamente la vite fu coltivata in molte parti del globo, praticamente ovunque potesse attecchire, poiché da essa si potevano ricavare deliziosi frutti e una bevanda che nei secoli ha avuto i suoi estimatori in tutte le classi sociali. Il vino era anche, come lo è ancora d'altronde, un motore delle economie locali, dato che non a tutti piacciono le stesse cose e quindi si può giocare molto sulla varietà di colori, profumi e gusti.
Come ha anticipato un mio “fan” nei commenti al post della scorsa settimana, esiste infatti un'altra categoria tra quelle citate, che lui ha giustamente chiamato “amanti del vino”. Oltre ad essere un avvocato (chiarimento nemmeno tanto necessario una volta che avrete letto la sua definizione, ché gli avvocati, si sa, parlano latino molto spesso), è anche uomo di lettere e di fine umorismo, quindi  riporterò la sua definizione per capire meglio chi entra a far parte di questo gruppo.
Gli amanti "sanno" qualcosa, ma non hanno la presunzione di saper tutto, anzi desiderano sempre approfondire la conoscenza di ciò che amano.
E tendono il bicchiere, ma non acriticamente: nel senso
ex ante perché usano quel che sanno per fare una cernita, e nel senso ex post perché ricordano quel che hanno sperimentato e lo aggiungono ai criteri per le cernite successive.
In questo sono guidati appunto dalla conoscenza e dall' organolettica.
Con queste due ali anche lo sperduto può diventare amante.

Anche l'enologia ebbe, tuttavia, dei periodi molto difficili da superare.

Nella seconda metà dell'Ottocento, infatti, una vera e propria tragedia si abbatte sui vigneti europei.
Un minuscolo insetto, chiamato Fillossera (Daktulosphaira vitifoliae), sbarca dal Nuovo Continente sulle coste europee, portato dai primi battelli che facevano traversate oceaniche.
Le sue dimensioni sono pari a quelle di un afide e presenta polimorfismo funzionale, cioè gli individui della stessa specie presentano caratteristiche diverse in base alla loro funzione. Ad esempio, ci sono delle Fillossere con le ali ed altre senza, a seconda che debbano restare sulla pianta infestata oppure andare a deporre le uova su altre.

Fillossera con le ali

In generale, gli insetti di questa famiglia possono avere diverse piante preferite per l'attacco. E' nota anche la Fillossera che infesta il pero, ma oggi ci atterremo unicamente alle viti.
La Fillossera attacca le foglie e le radici della vite, provocando delle escrescenze su entrambe e deponendo le uova nelle galle (protuberanze) fogliari. L'infestazione è spesso accompagnata dall'attacco da parte di acari rizofagi e funghi.
L'avrete immaginato da soli che la pianta, nel giro di due o tre anni, deperisce pian piano fino a marcire.
Tuttavia l'attacco alle foglie piuttosto che alle radici dipende dalla pianta infestata.
La vite europea, ad esempio, non viene attaccata a livello dell'apparato fogliare, è immune alla puntura della Fillossera a questo livello, tuttavia le sue radici non lo sono.
I danni alle radici riguardano tutte le viti, ma si differenziano da specie a specie. Ad esempio, la vite americana in generale viene attaccata a livello radicale, ma solo alla periferia dell'apparato, dunque le radici non vengono compromesse nella totalità e la pianta supera indenne l'infestazione.

L'attacco dell'afide Fillossera distrusse in poco tempo i vigneti europei, primi fra tutti quelli francesi, e produsse gravi perdite economiche.

Fillossera che se la gode
in un'illustrazione del settimanale inglese Punch, 1890

Si cercò un rimedio, ma per circa trent'anni l'infestazione continuò inarrestabile.
Finalmente da Montpellier arrivò la proposta di Gustave Foeux, che si rivelò determinante nel fermare la moria di viti ed il collasso dell'industria vinicola: l'innesto della vite europea con quella americana.
Il ragionamento, a posteriori, era piuttosto semplice.
Alcune specie americane non venivano attaccate dalla Fillossera, poiché avevano sviluppato una resistenza nei suoi confronti, probabilmente dovuta a tanti anni di contatto con il parassita e quindi a mutazioni intervenute nel genoma.
Si decise quindi di innestare le radici della pianta americana resistente con la vite europea.
Fu il primo esempio di lotta biologica su larga scala e fu un vero e proprio successo, che salvò e salva ancora oggi l'intera produzione vinicola europea.

Vitis vinifera è la tipologia di vite coltivata in Europa ed è anche la pianta che si è deciso di innestare con la vite americana. Inizialmente, per la scelta di quest'ultima, si è ristretto il campo ai vigneti d'oltreoceano immuni alla Fillossera, poi sono stati creati degli ibridi per ottimizzare ancora di più le loro caratteristiche e questi ultimi sono stati innestati con Vitis vinifera.
Il risultato è stata una pianta di vite non attaccabile dal punto di vista delle radici e nemmeno da quello delle foglie, se ricordate quello che abbiamo detto poco sopra.
Se ve lo state chiedendo, le prime indagini dimostrarono che la parte radicale dell'innesto influisce solo sull'adattamento della pianta al terreno e sulla resistenza alla Fillossera, mentre la parte superiore della vite mantiene intatte le caratteristiche del vitigno europeo innestato.
Ovviamente prima di dare il via ad un intero vigneto l'innesto va testato.
Farne uno errato, infatti, può comportare un gran dispendio di denaro, dato che esistono parti radicali più o meno vigorose, che devono perciò essere associate a precise condizioni del terreno. La vigoria delle parti radicali, infatti, può influire sui tempi di maturazione e quindi sull'accumulo di zuccheri e polifenoli nell'uva.
Secondo quel che già sapete, il prodotto finale sarà quindi abbastanza differente nei vari casi.

Ora, per divertirci un po', metterò una foto e potrete indovinare dove è stata scattata.
Per il vincitore non ci sarà soltanto la gloria, ma anche la possibilità di scegliere un argomento per uno dei miei prossimi articoli e di risolvere (spero) così un dubbio biologico che aveva da tempo.
Per farvi venire più curiosità posso aggiungere che il soggetto della foto, ovviamente un vigneto per restare in tema, sarà l'oggetto del post della prossima settimana.
A parità di risposta esatta mi toccherà rispondere ai dubbi di tutti coloro che vinceranno, anche se, in questo caso, vi chiedo fin d'ora di essere pazienti e di venirmi un po' incontro con le tempistiche.
Non è per lusingarvi, ma so che siete dei bravi detective!
Vi aspetto nei commenti al blog o, se preferite, su Facebook, Google+ o Twitter.

Dove sarà?

giovedì 10 luglio 2014

SOS degustazione

Guida semplice per non intenditori

Quando si pronuncia la parola VINO si sa già che ci si troverà difronte a due tipologie di persone:

- l'intenditore, colui che semplicemente SA. Anche se non gli hai chiesto nulla ti darà dei consigli e ti racconterà la storia di quella bevanda a lui così familiare. Non sempre è detto che abbia studiato l'argomento, anzi i più noiosi sono proprio quelli che non lo hanno fatto. Per loro Socrate (o Platone, se siete dubbiosi) si sbagliava quando diceva: “So di non sapere”. Loro SANNO. Punto.

- il godereccio, colui a cui basta che sulla bottiglia (o sulla scatola, per quel che gli importa) ci sia scritta la fatidica parola per tendere il bicchiere.

Non so esprimermi su quale delle due categorie io trovi più fastidiosa, tuttavia sento di affermare senza dubbio che io faccio parte di una terza categoria, quella degli sperduti.
Provo una certa venerazione per il vino e per il processo che lo fa diventare quel che è, perchè rappresenta davvero un delicato equilibrio tra Natura e uomo. Allo stesso tempo, quando mi sembra di aver intaccato la superficie dell'argomento, nuove nozioni mi ributtano indietro al punto di partenza.
E' un po' come vedere la riva dal largo e non riuscire a raggiungerla, pur nuotando “con stile perfetto” [cit. Pensavo fosse amore e invece era un calesse].
Per questo motivo cerco sempre di attingere alle conoscenze del gruppo degli intenditori, per poi verificarle a casa e, nel caso siano giuste, ricordarle.

Per sopravvivere alle degustazioni, che siano organizzate oppure a casa dell'ennesimo collega o amico, bisogna ricordare delle cose fondamentali, come ad esempio che il vino si fa con l'uva.
Lo so, lo so che lo sapete già, ma forse troppo spesso dimentichiamo che il vino non è solo succo d'uva. Molte persone pensano che basti schiacciare l'uva ed aspettare perchè si verifichi una magia che lo trasforma in vino, una specie di riedizione delle nozze di Cana, ma senz'acqua.
Il succo d'uva a questo punto fermenta, così, senza una ragione, solo perchè qualunque frutto schiacciato produce il proprio succo, ma più alcolico. Se così fosse, anche schiacciando una fragola e lasciandola un po' lì a decantare, avremmo in tempi più o meno brevi un buon succo di fragola alcolico, a seconda del processo di fragolificazione. Che cosa cambia?
Sulla superficie dell'acino d'uva c'è una sostanza di natura cerosa, chiamata pruina, che crea una patina bianca che si rimuove al solo passaggio di un dito sulla buccia. La pruina viene prodotta dalle cellule superficiali dell'acino e lo protegge da eccessiva disidratazione e dai raggi ultravioletti. Inoltre, questa sostanza trattiene sulla superficie dell'acino alcuni lieviti che danno il via alla fermentazione. E' il lievito il primo responsabile della vinificazione!

Il lievito può sopravvivere con vari mezzi. Alcuni tipi respirano ossigeno, proprio come voi e me, mentre altri, in assenza di ossigeno, possono utilizzare la fermentazione, degradando zuccheri per ottenere energia, anidride carbonica ed etanolo, responsabile della gradazione alcolica.
Et voilà, ecco cosa accade nella tinozza in cui abbiamo pigiato l'uva: un microrganismo, in assenza di ossigeno ed in presenza di zuccheri presenti nel chicco d'uva, ricava energia in un modo diverso dalla respirazione aerobica e produce sostanze che cambiano il substrato, in questo caso il mosto, in vino.
Naturalmente, quella di cui abbiamo parlato finora è una versione molto semplificata del processo di vinificazione. E' possibile che, oltre ai lieviti “indigeni” dell'acino spremuto, debbano essere aggiunti altri lieviti, a volte anche per dare un particolare aroma alla bevanda finale.
Un buon bicchiere di vino al giorno è consigliato nella propria dieta, proprio perchè così si integra la propria alimentazione con i polifenoli, antiossidanti naturali. Il vino è stato oggetto di numerosi studi scientifici e per citarli tutti impazzirei, ma sembra realistico il fatto che l'ingestione di molecole antiossidanti con un bicchiere a pasto migliorerebbe la salute e molti dei parametri controllati con le analisi del sangue.
Tuttavia, dove si trovano queste sostanze ed esattamente in che momento della vinificazione i polifenoli passano nel vino?
Tutti sappiamo che l'uva per diventare vino deve essere spremuta in qualche modo, che sia con una macchina o con i piedi dei contadini non importa, comunque sia da questo processo nasce il cosiddetto mosto, che poi può essere allungato con dell'acqua a seconda delle preparazioni cui andrà incontro. Il mosto inizierà gradualmente a fermentare e, come abbiamo appena detto, potrà farlo già spontaneamente o potrà essere aiutato dall' aggiunta di ulteriori lieviti.
Esistono fondamentalmente due principali tipi di vinificazione, quella in rosso e quella in bianco, per ottenere le due differenti tipologie di vino.

Nel primo caso il mosto viene lasciato a contatto con le vinacce, cioè le bucce ed i piccioli dell'uva, e nelle prime fasi della fermentazione avviene il processo di macerazione: le sostanze antiossidanti contenute nella parte più esterna dell'acino e nei vasi più superficiali che si trovano a contatto con la buccia si trasferiscono al mosto in relazione alla temperatura e alla durata del contatto di quest'ultimo con le bucce stesse. Quindi, a seconda di quanto a lungo restano in contatto, avremo vini rosé e rossi in varie sfumature.
Nel caso della vinificazione in bianco, invece, le vinacce vengono separate e non avviene la macerazione. Questo vuol dire che il vino bianco non ha polifenoli? No, semplicemente ne ha molti meno rispetto a quello rosso perchè non viene lasciato a decantare con le bucce, ma una parte dei polifenoli utili viene comunque trasferita al mosto nel momento della spremitura delle uve.



Questa è una breve guida molto semplificata, che può servire comunque per cavarsela egregiamente in caso di degustazione. Inoltre ci servirà come introduzione per alcuni post successivi in cui potrò descrivervi la mia esperienza alle degustazioni di vino ed una piccola gita che ho effettuato nei miei 20 giorni sabbatici di assenza dal blog.
Vorrei celebrare, inoltre, il principio di collaborazione donando un'immaginaria medaglia al Dr Bonavia, prezioso chimico per i momenti di confusione scientifica, per avermi permesso di districarmi nel mondo dei polifenoli e per avermi evitato di scrivere castronerie o semplici imprecisioni. La competenza è fatta di dettagli, dal mio punto di vista.
Ora vi lascio con questo delizioso cartone animato, so già che vi piacerà! In questo caso, faccio l'intenditrice e non la sperduta.



mercoledì 2 luglio 2014

Tyger! Tyger! burning ... BRIGHT

Quando si parlava di tigre, nella mia infanzia/adolescenza/giovinezza e, lo confesso, ancora oggi al telefono, c'era sempre una voce fuori campo che iniziava a dire “Tyger tyger burning bright in the forests of the night”
A dimostrazione che l'uso dell'allitterazione fatto da Blake nella sua famosa poesia era più che giusto. 
Chi declamava questi versi, come dicevo, lo fa ancora oggi ad ogni occasione e quindi per me la tigre ha un legame indissolubile con questa poesia.
Tuttavia per riferimenti letterari di tale calibro mi sono affidata ad un'esperta del campo, che è riuscita a scartabellare le fonti in modo migliore e con più rapidità rispetto a quanto avrei potuto fare io. 
Qui di seguito potete leggere una sua riflessione sul componimento di Blake citato sopra e sulla poesia che le fa da contraltare … ma non troppo.
In fondo potete leggere le poesie citate, sia in originale che in traduzione. 
Perchè sia io che la mia amica siamo maledettamente pignole, ognuna nel proprio campo.

Su questo fiero animale [la tigre] si è orientata la scelta di William Blake, per celebrare la meraviglia della creazione. 
The Tyger” è infatti un componimento scritto e illustrato dalla mano dell’autore. 
Collocato all’interno delle Songs of Experience (Canti dell'Esperienza), trova il suo controcanto in The Lamb, tra le Songs of Innocence (Canti dell'Innocenza). Nei versi di queste raccolte, il poeta, cantore del valore dell’essere umano in quanto tale, mostra i due stati contrari che nella sua immaginazione compongono l’anima umana. 
Come suggeriscono i titoli, si tratta di innocenza ed esperienza, tra le quali Blake instaura un confronto per opposizione. 
 
Gli opposti coesistono, ma la loro dualità trova una sintesi nell’unicità che li ha creati.
 
Ogni essere umano nella propria vita attraversa gli stadi dell’innocenza e dell’esperienza, senza che essi siano necessariamente legati alle due fasi dell’infanzia e dell’età adulta. 
Al contrario, sono due stati contemporaneamente mescolati nell’anima umana. La loro coesistenza consente il progresso. Il loro confronto induce a una coscienza superiore, una visione divina. Ove The Lamb presenta certezze, The Tyger pone domande che restano aperte, come quelle dell’uomo che sperimenta la notte. 


The Tyger
Tyger! Tyger! Burning bright
In the forest of the night,
What immortal hand or eye
Could frame thy fearful symmetry?

In what distant deeps or skies
Burnt the fire of thine eyes?
On what wings dare he aspire?
What the hand dare sieze the fire?

And what shoulder, & what art,
Could twist the sinews of thy heart?
And when thy heart began to beat,
What dread hand? & what dread feet?

What the hammer? What the chain?
In what furnace was thy brain?
What the anvil? What dread grasp
Dare its deadly terrors clasp?

When the stars threw down their spears,
And water’d heaven with their tears,
Did he smile his work to see?
Did he who made the Lamb make thee?
 
Traduzione di Giuseppe Ungaretti (mica pizza e fichi ... ndA)
Tigre! Tigre! Divampante fulgore
Nelle foreste della notte,
Quale fu l'immortale mano o l’occhio
Ch'ebbe la forza di formare la tua agghiacciante simmetria?
In quali abissi o in quali cieli
Accese il fuoco dei tuoi occhi?
Sopra quali ali osa slanciarsi?
E quale mano afferra il fuoco?
Quali spalle, quale arte
Poté torcerti i tendini del cuore?
E quando il tuo cuore ebbe il primo palpito,
Quale tremenda mano? Quale tremendo piede?
Quale mazza e quale catena?
Il tuo cervello fu in quale fornace?
E quale incudine?
Quale morsa robusta osò serrarne i terrori funesti?
Mentre gli astri perdevano le lance tirandole alla terra
e il paradiso empivano di pianti?
Fu nel sorriso che ebbe osservando compiuto il suo lavoro,
Chi l’Agnello creò, creò anche te?
Tigre! Tigre! Divampante fulgore
Nelle foreste della notte,
Quale mano, quale immortale spia
Osa formare la tua agghiacciante simmetria?

The Lamb
Little Lamb, who made thee?
Dost thou know who made thee?
Gave thee life, and bid thee feed
By the stream and o'er the mead;
Gave thee clothing of delight,
Softest clothing, woolly, bright;
Gave thee such a tender voice,
Making all the vales rejoice!
Little Lamb, who made thee?
Dost thou know who made thee?
Little Lamb, I'll tell thee,
Little Lamb, I'll tell thee:
He is called by thy name,
For He calls Himself a Lamb.
He is meek, and He is mild;
He became a little child.
I a child, and thou a lamb,
We are called by His name.
Little Lamb, God bless thee!
Little Lamb, God bless thee!
Traduzione
Agnellino, chi ti fece?
Sai chi ti fece?
Ti diede la vita, e ti disse di nutrirti
Dal ruscello e sopra il prato;
Ti diede un vestito di delizia,
Il più morbido vestito, di lana, chiaro;
(Chi) Ti diede una così tenera voce,
da fare gioire tutte le valli!
Agnellino, chi ti fece?
Sai chi ti fece?
Agnellino, te lo dirò,
Agnellino, te lo dirò:
Egli è chiamato col tuo nome,
Poiché Egli Si chiama Agnello.
Egli è mite, ed Egli è buono;
Divenne un piccolo bambino.
Io un bambino, e tu un agnello,
Siamo chiamati col Suo nome.
Agnellino, Dio ti benedica!
Agnellino, Dio ti benedica!

Ehi!! Non dimenticate di leggere il post precedente ... vi perdereste molto!
 

Tyger! Tyger! burning ... WHITE

Le tigri si esprimono attraverso una varietà di ruggiti, il più fragoroso dei quali è probabilmente il potente aaonh a cui maschi e femmine in calore ricorrono soprattutto durante la stagione degli accoppiamenti. È un richiamo udibile a grandi distanze e se lo ascoltate da vicino rimanete pietrificati. Poi c'è il woof delle tigri colte di sorpresa: un concentrato di furia secca e penetrante come lo scoppio di una bomba. Quando attaccano, i ruggiti sono gutturali e rauchi. Il brontolio rabbioso che usano a scopo di minaccia ha un timbro ancora diverso. Le tigri ringhiano e soffiano:
a seconda dello stato d'animo, questi versi ricordano il fruscio delle foglie d'autunno - solo più energico - oppure un'enorme porta dai cardini arrugginiti che si apre lentamente. In entrambi i casi l'effetto è agghiacciante. Le tigri gemono e grugniscono; fanno perfino le fusa, anche se più raramente dei gatti e soltanto espirando. (Solo i gatti fanno le fusa anche inspirando.) […]
Le tigri fanno persino miao, con un'inflessione simile a quella dei gatti, ma più sonora e dalla tonalità più profonda, che non invoglia certo a chinarsi e prenderle in braccio.
E le tigri possono anche stare in silenzio, un silenzio totale e maestoso.
Avevo sentito tutti questi versi durante la mia infanzia. Ma non il prusten.
Se ero al corrente della sua esistenza, era perché papà me ne aveva parlato. Ne aveva letto la descrizione nella letteratura zoologica. Ma l'aveva sentito solo una volta, durante una visita allo zoo di Mysore, nell'ospedale degli animali, da un giovane esemplare maschio con la polmonite.
Il prusten è il più pacato fra i versi della tigre, uno sbuffo dal naso che esprime cordialità e intenzioni pacifiche.
Richard Parker lo fece un'altra volta, accompagnandolo con un lieve movimento del capo. Chiunque, guardandolo, avrebbe giurato che mi stesse domandando qualcosa.

- Vita di Pi -

La Natura ci sorprende sempre, nemmeno una volta lascia insoddisfatta la nostra curiosità.
Io, ad esempio, non sapevo che la tigre facesse tutti questi versi e con questa varietà di significati. Mi ci è voluta la lettura del libro di Yann Martel per scoprirlo. Libro che è diventato ancora più noto per il pluripremiato film di Ang Lee da esso tratto.
La storia è quella di un ragazzino indiano, Piscine Molitor Patel, la cui famiglia possiede uno zoo. La devozione per gli animali fa in modo che in lui nasca una profonda ammirazione per tutte le creature ospitate nelle gabbie. La zoologia, insieme con le religioni, diventa la sua passione. Purtroppo gli affari non vanno bene per il padre, che decide di vendere gli animali e trasferirsi con la famiglia in Canada. La nave su cui viaggia la famiglia di Piscine, per gli amici Pi, sparisce durante una tempesta in mare aperto e lui sarà uno dei due unici superstiti.
L'altro è Richard Parker, un esemplare maschio di tigre del Bengala, con cui Pi dovrà condividere scialuppa ed avventure in mezzo all'Oceano Pacifico.
Non preoccupatevi, non vi ho svelato praticamente nulla del libro. La storia è molto più ricca di sfaccettature rispetto a quelle a cui accennavo poco sopra.
Su tutto emerge, maestosa, la figura della tigre, uno dei miei animali preferiti: fiera, nobile e terribilmente selvaggia.
Se leggiamo la tassonomia, si tratta di un gattone gigante, che arriva a misurare quasi 4 metri per poco meno di 400 kg di peso. Il suo nome scientifico è Panthera tigris e condivide lo stesso genere con il leone, il leopardo ed il giaguaro. La tigre adulta è un animale ai vertici della catena alimentare nel suo ambiente naturale, un cosiddetto predatore alfa, che si ciba soprattutto di ungulati simili a cervi e bovini.
Un tempo esse erano diffuse in tutta l'Asia, dalla Turchia alla parte più ad Est della Russia, ma al giorno d'oggi il loro habitat è molto meno esteso, oltre ad essere frammentato ed in generale distrutto. Se ci aggiungiamo anche il bracconaggio non è difficile concludere che la tigre è un esemplare in pericolo di estinzione: all'inizio del ventesimo secolo se ne contavano circa 100.000 esemplari, al giorno d'oggi ce ne sono meno di 4000 che vivono nel loro habitat naturale.

La tigre è un animale solitario e sociale. 

Wow, come può essere? In generale ogni esemplare ha un proprio territorio, che a volte si sovrappone con quello di altre tigri, ma di solito succede solo ai maschi, che lo fanno per avere a disposizione più femmine nel periodo dell'accoppiamento. Quando si tratta di dividere una preda, tuttavia, non è inusuale che a cibarsene non sia solo chi l'ha uccisa, ma anche qualche femmina con i cuccioli.
La tigre ama, inoltre, fare il bagno: come darle torto, specialmente in questo periodo? Strano per essere un gatto, è vero.

Esistono sei specie di tigri tuttora viventi. Forse una delle più conosciute è la tigre del Bengala, che esiste anche nella variante bianca e nera. Infatti tutti noi siamo abituati a pensare ad un bel tigrottone arancione a strisce nere, ma in quanti hanno visto per caso una foto di una tigre bianca e nera ed hanno esclamato: “Caspita, anche le tigri possono essere albine!”.

Amici, non fatevi cogliere in fallo dal compare più saputello: la tigre bianca NON è una tigre albina, ma una tigre con una mutazione a carico di un particolare gene.


Una coppia di tigri bianche allo zoo di Haifa
Foto di Zvi Roger - Haifa Municipality

Procediamo con ordine, la melanina sappiamo che è un pigmento che dà colore alla pelle ed ai capelli o più in generale ai peli del nostro corpo e del corpo degli animali. Ne esistono due varianti: la feomelanina produce colorazioni che vanno dal giallo al rossiccio, l'eumelanina dà colorazioni che vanno dal marrone al nero. Le tigri bianche non producono feomelanina, ma continuano a poter produrre eumelanina, per questo hanno un manto bianco a strisce nere.
Una tigre albina, invece, non potrebbe produrre nessun tipo di melanina e quindi sarebbe completamente bianca.

Uno studio cinese del 2013, che come sempre potete leggere per intero utilizzando i riferimenti a fondo pagina, si è concentrato sulle motivazioni della particolare colorazione della tigre e ne ha tratto alcune interessanti conclusioni.
Ci si è concentrati sui geni che erano i principali candidati per la colorazione del manto della tigre e si è visto che in particolare il gene SLC45A2 potrebbe essere la causa di tutto.
Questo gene codifica una proteina chiamata con il difficile nome di trasportatore proteico associato alla membrana, che nello specifico altro non è che una delle tante tipologie di porte girevoli che possediamo nella membrana di ognuna delle nostre cellule.
E' semplice: la cellula per sopravvivere deve rimanere un sistema controllato, quindi per far entrare ed uscire sostanze varie da essa è necessario utilizzare degli stratagemmi; uno di questi è il trasportatore di membrana, che assomiglia a quelle cabine che spesso sono all'ingresso delle banche, in cui entri, ti si chiude la porta dietro e poi ti si riapre davanti per lasciarti entrare nella banca vera e propria. In più, i trasportatori di membrana, all'interno, hanno l'esatta conformazione della molecola che devono trasportare.
Per fortuna quest'ultima cosa ce la risparmiano ancora nelle banche, sebbene spesso ci si chieda anche cos'altro dovrai lasciare nella cassettina all'ingresso, visto che la cabina continua a suonare e a non volerti far entrare.
Ecco, comunque, spiegata in parole povere la funzione delle proteine trasportatrici di membrana.
In particolare SLC45A2 si occupa della produzione della melanina e sembra che il cambiamento in un singolo mattoncino di tutta la proteina, sia responsabile per la mancata sintesi di feomelanina e dunque per l'esistenza di tigri bianche e nere. Volete sapere come? Facile, cambia la forma della “cabina” interna al trasportatore, quindi la molecola che prima veniva fatta entrare o uscire senza problemi, ora non ci entra più. Di conseguenza non si hanno più mattoni per produrre feomelanina.
La totalità delle tigri bianche oggi viventi sono state fatte nascere in cattività, grazie ad incroci controllati all'interno degli zoo. La variante bianca in natura è stata avvistata ed uccisa per l'ultima volta nel 1958, tuttavia non è detto che non ne esistano altre, data la rarità della mutazione.
Lo studio citato ha proprio voluto dimostrare che la mutazione a carico del gene SLC45A2 è naturale e non si produce solo in cattività.
Al contrario, gli individui fatti nascere da incroci controllati spesso vengono al mondo già morti o presentano deformità ed in generale non raggiungono l'età adulta. Le problematiche a carico dei cuccioli, infatti, derivano da fenomeni di inbreeding, incrocio tra individui troppo “vicini” geneticamente, mentre non ci sono in natura, dove le tigri bianche raggiungono tranquillamente la maturità.
Bene, ora che avete fatto una bella scorpacciata di genetica, distendete i neuroni con il post seguente ... questa settimana vi viziamo proprio!