mercoledì 2 luglio 2014

Tyger! Tyger! burning ... WHITE

Le tigri si esprimono attraverso una varietà di ruggiti, il più fragoroso dei quali è probabilmente il potente aaonh a cui maschi e femmine in calore ricorrono soprattutto durante la stagione degli accoppiamenti. È un richiamo udibile a grandi distanze e se lo ascoltate da vicino rimanete pietrificati. Poi c'è il woof delle tigri colte di sorpresa: un concentrato di furia secca e penetrante come lo scoppio di una bomba. Quando attaccano, i ruggiti sono gutturali e rauchi. Il brontolio rabbioso che usano a scopo di minaccia ha un timbro ancora diverso. Le tigri ringhiano e soffiano:
a seconda dello stato d'animo, questi versi ricordano il fruscio delle foglie d'autunno - solo più energico - oppure un'enorme porta dai cardini arrugginiti che si apre lentamente. In entrambi i casi l'effetto è agghiacciante. Le tigri gemono e grugniscono; fanno perfino le fusa, anche se più raramente dei gatti e soltanto espirando. (Solo i gatti fanno le fusa anche inspirando.) […]
Le tigri fanno persino miao, con un'inflessione simile a quella dei gatti, ma più sonora e dalla tonalità più profonda, che non invoglia certo a chinarsi e prenderle in braccio.
E le tigri possono anche stare in silenzio, un silenzio totale e maestoso.
Avevo sentito tutti questi versi durante la mia infanzia. Ma non il prusten.
Se ero al corrente della sua esistenza, era perché papà me ne aveva parlato. Ne aveva letto la descrizione nella letteratura zoologica. Ma l'aveva sentito solo una volta, durante una visita allo zoo di Mysore, nell'ospedale degli animali, da un giovane esemplare maschio con la polmonite.
Il prusten è il più pacato fra i versi della tigre, uno sbuffo dal naso che esprime cordialità e intenzioni pacifiche.
Richard Parker lo fece un'altra volta, accompagnandolo con un lieve movimento del capo. Chiunque, guardandolo, avrebbe giurato che mi stesse domandando qualcosa.

- Vita di Pi -

La Natura ci sorprende sempre, nemmeno una volta lascia insoddisfatta la nostra curiosità.
Io, ad esempio, non sapevo che la tigre facesse tutti questi versi e con questa varietà di significati. Mi ci è voluta la lettura del libro di Yann Martel per scoprirlo. Libro che è diventato ancora più noto per il pluripremiato film di Ang Lee da esso tratto.
La storia è quella di un ragazzino indiano, Piscine Molitor Patel, la cui famiglia possiede uno zoo. La devozione per gli animali fa in modo che in lui nasca una profonda ammirazione per tutte le creature ospitate nelle gabbie. La zoologia, insieme con le religioni, diventa la sua passione. Purtroppo gli affari non vanno bene per il padre, che decide di vendere gli animali e trasferirsi con la famiglia in Canada. La nave su cui viaggia la famiglia di Piscine, per gli amici Pi, sparisce durante una tempesta in mare aperto e lui sarà uno dei due unici superstiti.
L'altro è Richard Parker, un esemplare maschio di tigre del Bengala, con cui Pi dovrà condividere scialuppa ed avventure in mezzo all'Oceano Pacifico.
Non preoccupatevi, non vi ho svelato praticamente nulla del libro. La storia è molto più ricca di sfaccettature rispetto a quelle a cui accennavo poco sopra.
Su tutto emerge, maestosa, la figura della tigre, uno dei miei animali preferiti: fiera, nobile e terribilmente selvaggia.
Se leggiamo la tassonomia, si tratta di un gattone gigante, che arriva a misurare quasi 4 metri per poco meno di 400 kg di peso. Il suo nome scientifico è Panthera tigris e condivide lo stesso genere con il leone, il leopardo ed il giaguaro. La tigre adulta è un animale ai vertici della catena alimentare nel suo ambiente naturale, un cosiddetto predatore alfa, che si ciba soprattutto di ungulati simili a cervi e bovini.
Un tempo esse erano diffuse in tutta l'Asia, dalla Turchia alla parte più ad Est della Russia, ma al giorno d'oggi il loro habitat è molto meno esteso, oltre ad essere frammentato ed in generale distrutto. Se ci aggiungiamo anche il bracconaggio non è difficile concludere che la tigre è un esemplare in pericolo di estinzione: all'inizio del ventesimo secolo se ne contavano circa 100.000 esemplari, al giorno d'oggi ce ne sono meno di 4000 che vivono nel loro habitat naturale.

La tigre è un animale solitario e sociale. 

Wow, come può essere? In generale ogni esemplare ha un proprio territorio, che a volte si sovrappone con quello di altre tigri, ma di solito succede solo ai maschi, che lo fanno per avere a disposizione più femmine nel periodo dell'accoppiamento. Quando si tratta di dividere una preda, tuttavia, non è inusuale che a cibarsene non sia solo chi l'ha uccisa, ma anche qualche femmina con i cuccioli.
La tigre ama, inoltre, fare il bagno: come darle torto, specialmente in questo periodo? Strano per essere un gatto, è vero.

Esistono sei specie di tigri tuttora viventi. Forse una delle più conosciute è la tigre del Bengala, che esiste anche nella variante bianca e nera. Infatti tutti noi siamo abituati a pensare ad un bel tigrottone arancione a strisce nere, ma in quanti hanno visto per caso una foto di una tigre bianca e nera ed hanno esclamato: “Caspita, anche le tigri possono essere albine!”.

Amici, non fatevi cogliere in fallo dal compare più saputello: la tigre bianca NON è una tigre albina, ma una tigre con una mutazione a carico di un particolare gene.


Una coppia di tigri bianche allo zoo di Haifa
Foto di Zvi Roger - Haifa Municipality

Procediamo con ordine, la melanina sappiamo che è un pigmento che dà colore alla pelle ed ai capelli o più in generale ai peli del nostro corpo e del corpo degli animali. Ne esistono due varianti: la feomelanina produce colorazioni che vanno dal giallo al rossiccio, l'eumelanina dà colorazioni che vanno dal marrone al nero. Le tigri bianche non producono feomelanina, ma continuano a poter produrre eumelanina, per questo hanno un manto bianco a strisce nere.
Una tigre albina, invece, non potrebbe produrre nessun tipo di melanina e quindi sarebbe completamente bianca.

Uno studio cinese del 2013, che come sempre potete leggere per intero utilizzando i riferimenti a fondo pagina, si è concentrato sulle motivazioni della particolare colorazione della tigre e ne ha tratto alcune interessanti conclusioni.
Ci si è concentrati sui geni che erano i principali candidati per la colorazione del manto della tigre e si è visto che in particolare il gene SLC45A2 potrebbe essere la causa di tutto.
Questo gene codifica una proteina chiamata con il difficile nome di trasportatore proteico associato alla membrana, che nello specifico altro non è che una delle tante tipologie di porte girevoli che possediamo nella membrana di ognuna delle nostre cellule.
E' semplice: la cellula per sopravvivere deve rimanere un sistema controllato, quindi per far entrare ed uscire sostanze varie da essa è necessario utilizzare degli stratagemmi; uno di questi è il trasportatore di membrana, che assomiglia a quelle cabine che spesso sono all'ingresso delle banche, in cui entri, ti si chiude la porta dietro e poi ti si riapre davanti per lasciarti entrare nella banca vera e propria. In più, i trasportatori di membrana, all'interno, hanno l'esatta conformazione della molecola che devono trasportare.
Per fortuna quest'ultima cosa ce la risparmiano ancora nelle banche, sebbene spesso ci si chieda anche cos'altro dovrai lasciare nella cassettina all'ingresso, visto che la cabina continua a suonare e a non volerti far entrare.
Ecco, comunque, spiegata in parole povere la funzione delle proteine trasportatrici di membrana.
In particolare SLC45A2 si occupa della produzione della melanina e sembra che il cambiamento in un singolo mattoncino di tutta la proteina, sia responsabile per la mancata sintesi di feomelanina e dunque per l'esistenza di tigri bianche e nere. Volete sapere come? Facile, cambia la forma della “cabina” interna al trasportatore, quindi la molecola che prima veniva fatta entrare o uscire senza problemi, ora non ci entra più. Di conseguenza non si hanno più mattoni per produrre feomelanina.
La totalità delle tigri bianche oggi viventi sono state fatte nascere in cattività, grazie ad incroci controllati all'interno degli zoo. La variante bianca in natura è stata avvistata ed uccisa per l'ultima volta nel 1958, tuttavia non è detto che non ne esistano altre, data la rarità della mutazione.
Lo studio citato ha proprio voluto dimostrare che la mutazione a carico del gene SLC45A2 è naturale e non si produce solo in cattività.
Al contrario, gli individui fatti nascere da incroci controllati spesso vengono al mondo già morti o presentano deformità ed in generale non raggiungono l'età adulta. Le problematiche a carico dei cuccioli, infatti, derivano da fenomeni di inbreeding, incrocio tra individui troppo “vicini” geneticamente, mentre non ci sono in natura, dove le tigri bianche raggiungono tranquillamente la maturità.
Bene, ora che avete fatto una bella scorpacciata di genetica, distendete i neuroni con il post seguente ... questa settimana vi viziamo proprio!



martedì 24 giugno 2014

Solstizio d' Estate ai piedi di due Ginkgo biloba

Cari lettori di Rifiuto Biologico, è da un paio di settimane che non mi leggete. 
Invece di tediarvi con scuse e magari bugie, spero che possiate essere felici di sapere che da oggi il blog verrà arricchito con tantissimi argomenti che derivano proprio dalle mie settimane di silenzio. 
  

Prima di tutto, benvenuta Estate!
Il 21 giugno, alle ore 10.51, c'è stato il Solstizio d'estate, il giorno più lungo dell'anno e di conseguenza la notte più corta. Una giornata da reclusi per i vampiri, bisogna considerarlo.

Orto Botanico di Brera
Foto di Gea

Il 21 ed il 22 giugno si è svolta, proprio in occasione di questa ricorrenza, la Festa del Solstizio d'Estate negli Orti Botanici della Lombardia (www.reteortibotanicilombardia.it), arrivata alla sua undicesima edizione.
Gli Orti hanno aperto le porte al pubblico accogliendolo con laboratori, visite guidate, mostre ed eventi per scoprire le meraviglie della botanica ed affascinare persone di ogni età.
Per quanto mi riguarda, ho avuto l'occasione di visitare l'Orto Botanico di Brera e di portarmi a casa un'esperienza unica … ed i semi di una piantina che probabilmente farà la gioia della mia mamma, dato che a casa mia ultimamente muoiono anche le piante grasse.
L'Orto Botanico si trova nel cuore del centro storico di Milano.
Fin dall'ingresso sembra di arrivare in un posto benedetto, senza il frastuono del traffico e con alberi altissimi a fare da tetto. Non si tratta di un posto immenso, sono soltanto 5000 metri quadrati alle spalle del palazzo che ospita la famosa Pinacoteca di Brera.

Retro del Palazzo della Pinacoteca di Brera
Foto di Gea

L'Orto nella sua attuale configurazione fu fondato da Maria Teresa d'Austria nel 1774 con scopi scientifici e didattici. Nel sito web dedicato (www.brera.unimi.it) se ne possono leggere le alterne vicende fino alla riapertura, dopo il restauro, nel 2001.
La suddivisione fittizia in due parti fa sì che riusciamo ad ammirare per prime le aiuole recintate da mattoncini che risalgono all'epoca della sua fondazione e, in fondo, uno spazio circondato da alberi molto antichi, tra cui due esemplari di Ginkgo biloba, la cui foglia è anche il simbolo dell'Orto stesso.
A questo punto dovreste esclamare: “Ma certo! Il Ginkgo! Ne abbiamo già letto in uno degli scorsi post!”
Lo state facendo? Bravissimi!
Non lo state facendo? Va bè, erano soltanto due righe, potrebbe esservi passato sotto al naso senza che ve ne siate accorti.
Rimediate rileggendo il post sul pesce elefante.

Ginkgo biloba
Philipp Franz von Siebold and Joseph Gerhard Zuccarini
Flora Japonica, Sectio Prima (Tafelband)

Il Ginkgo biloba è un albero originario della Cina. Esisteva già in epoca mesozoica, con le sue foglie divise in due e l'eleganza del suo tronco.
Si tratta di un fossile vivente, un organismo il cui DNA è rimasto al riparo da molti fenomeni mutazionali, rendendo il genoma degli alberi di adesso sovrapponibile a quello degli alberi del Mesozoico.
Qui all'Orto Botanico di Brera si possono ammirare due esemplari importati dalla Cina nel 1775, un maschio ed una femmina. Infatti, il Ginkgo è una pianta che si definisce dioica, cioè possiede strutture fertili maschili e femminili su piante diverse, diversamente da molte altre piante che invece sono maschi e femmine insieme sulla stessa pianta, in modo piuttosto pratico per la loro riproduzione.
L'impollinazione dei fiori è anemofila, cioè dipende dal vento e non, ad esempio, dagli insetti, come siamo forse più abituati a pensare. Questo tipo di impollinazione è considerato tipico di piante molto primitive, per l'ovvia ragione che garantisce un minor successo nella fecondazione rispetto a quanto avviene con il trasporto del polline da parte degli insetti.
Da questo derivano due conseguenze:
  • la pianta deve produrre una quantità molto maggiore di polline per assicurarsi tante possibilità di discendenza;
  • la pianta non deve agghindarsi per attirare gli insetti e favorire l'impollinazione, né produce nettare. Le piante con fecondazione anemofila hanno però bisogno del vento per portare a termine la loro missione e per questo hanno evoluto altri stratagemmi per moltiplicare le loro possibilità.

Il Ginkgo viene considerata una pianta dalle potenzialità antiossidanti, poiché contiene molti polifenoli. Ancora non è stato confermato scientificamente il fatto che le stesse sostanze possano aiutare anche nei disturbi della memoria, come la malattia di Alzheimer.
Sembra invece che il consumo di Ginkgo biloba aiuti la circolazione del sangue, motivo per cui è spesso tra i componenti di rimedi naturali che contrastano la fragilità capillare e la comparsa di varici.
Per lungo tempo il Ginkgo biloba è stato coltivato dai monaci buddisti cinesi e non è raro trovarlo accanto ai templi o come ornamento nei giardini orientali.
I suoi principi attivi ne facevano l'ingrediente principale del tè dell'eterna giovinezza e la stessa foglia bilobata è stata associata nella filosofia orientale al principio dello Yin e dello Yang, secondo cui la realtà è governata dagli opposti (basso e alto, maschio e femmina, bene e male).
Una pianta molto misteriosa, conservata in uno scrigno che sembra impossibile si trovi nel centro storico di Milano.
La bellezza di una visita all'Orto Botanico di Brera, oltre alla possibilità di aggirarsi liberamente tra le aiuole ed alle tantissime attività che esso offre per tutte le età ed in tutte le stagioni, sta nel fatto che nei cartelli esplicativi sparsi qua e là c'è sempre una frase di un poeta o di uno scrittore “a tema”.
Vi propongo quella sul Ginkgo biloba:

Quando la bomba atomica trasformò la città di Hiroshima in un deserto annerito,
un vecchio ginkgo cadde fulminato vicino al centro dell' esplosione.

L'albero rimase calcinato come il tempio buddista che proteggeva.

Tre anni dopo, qualcuno scoprì che una lucina verde spuntava nel carbone. Il tronco morto aveva buttato fuori un germoglio. L'albero rinacque, aprì le braccia, fiorì.

Quel superstite della strage è ancora là. Perché si sappia.”



- Eduardo Galeano -