Era il lontano 1997 ed un gruppo danese/norvegese, i cui componenti avevano nomi impronunciabili, scalava le classifiche mondiali con un singolo rimasto impresso nella mente di molti giovani: Barbie Girl.
Gli Aqua, questo il nome del complesso musicale, sfondarono con il singolo anche grazie al loro video in cui i due cantanti vestivano i panni di Barbie e Ken. Dato il testo della canzone, non proprio lusinghiero nei confronti della celebre bambola, furono querelati dalla casa produttrice Mattel, ma la questione si risolse con un giudizio a favore del gruppo, poiché la canzone fu considerata dai giudici una parodia.
Per chi non lo ricorda, ecco qui il video musicale in questione.
Una strofa di questa
canzone, a suo tempo ballata anche dalle mie gambe di cemento armato,
recitava “Life in plastic is fantastic”. Con cupa ironia, mi è tornata in mente l'altro giorno, quando,
rientrata dalla spesa e in procinto di liberare dal loro imballaggio gli alimenti
acquistati per riporli nella dispensa, ho visto
il cestino della plastica riempirsi ad una velocità allarmante.
In
pratica, avevo gettato la spazzatura un'ora prima e sarei già dovuta
scendere di nuovo.
Così
mi sono chiesta: per quale motivo la plastica è utilizzata in modo
così estensivo per gli imballaggi alimentari ed anche per molti
altri oggetti che utilizziamo nella vita quotidiana?
Innanzitutto
è un materiale di facile e piuttosto economica lavorazione, ma
soprattutto è molto resistente, idrorepellente e resistente agli
acidi, leggero e inattaccabile da funghi e batteri.
Insomma,
un materiale di origine quasi divina, utile nella vita quotidiana e
molto versatile.
Le
informazioni a me ignote, tuttavia, erano molteplici.
Ad
esempio non ero a conoscenza del fatto che i polimeri plastici
derivassero dalla lavorazione del petrolio, anche se sapevo
che la plastica non è biodegradabile, ma solamente
fotodegradabile.
Anche quest'ultimo processo, tuttavia, riesce a ridurre il
materiale in particelle microscopiche, ma non lo fa scomparire del
tutto.
Un
argomento che ha attirato la mia attenzione è stato quello del Great
Pacific Garbage Patch, la grande
chiazza di spazzatura del Pacifico, e un po' mi vergogno di questa
mia scarsa informazione.
Il
Great Pacific Garbage Patch
è il risultato della concentrazione di inquinanti plastici marini
operata dalle grandi correnti che esistono nella zona dell'Oceano
Pacifico. A differenza di quanto possa venirci in mente, non si
tratta di un'isola di rottami plastici che va alla deriva
nell'oceano, quanto di minuscolo particolato sospeso sulla superficie
dell'acqua o appena al di sotto di essa. Quale sia la sua estensione
è solo una congettura poiché non è possibile vedere la chiazza da
un aereo o da satellite, ma solo campionando la zona. Le stime fanno
comunque aggirare la quota tra i 700.000 km2
e più di 15.000.000
km2.
Alcuni la fanno breve e dicono che è circa due volte l'estensione
degli Stati Uniti.
Prima
di tirare un sospiro di sollievo pensando che è lontana mille miglia
e più dalla nostra penisola, meglio pensare al fatto che esistono
altre due zone simili, una nell'Oceano Indiano ed una nell'Atlantico.
Che
cosa c'è all'interno di queste chiazze? Essenzialmente spazzatura a
componente plastica, per più della metà derivante da scarichi
illegali o semplicemente da gente che getta in mare bottiglie di
plastica, spazzolini, giocattoli e chi più ne ha più ne metta.
L'altra quota del totale deriva da navi da carico, piattaforme e navi
da pesca. Da non sottovalutare è anche il contributo dato dai grandi
fiumi che sfociano ovviamente nel mare e portano con sé tutta la
sconsideratezza di uomini che hanno scaricato a monte questo materiale.
Consideriamo
prima di tutto che in molte delle aree campionate la concentrazione
totale di plastica è circa sette volte superiore a quella dello
zooplancton e, dunque, immaginiamo senza ulteriore sforzo quanto sia
pericoloso per la fauna marina abitare un simile ecosistema. Senza
parlare di molti uccelli che mangiano questa stessa plastica, che
viene ritrovata nel loro stomaco e documentata da foto reperibili
facilmente in rete.
Se
proprio non ci si sente nemmeno un minimo impauriti da queste
informazioni, basta pensare che le particelle polimeriche di plastica
rilasciano inquinanti organici tossici (PCB, IPA) che vengono
ingeriti dalle meduse, solo per fare un esempio, le quali a loro
volta sono predate da pesci più grandi. Gli stessi pesci che poi
andiamo a comprare al mercato.
Anche
qui l'equazione è semplice quanto l'ingresso di sostanze tossiche
nella catena alimentare.
Ovviamente
lo smaltimento delle materie plastiche e lo sviluppo di nuovi
materiali biodegradabili che abbiano le stesse caratteristiche è al
centro delle ricerche di numerose aziende del settore, ma ancora
molta strada è all'orizzonte prima di poter ridimensionare quella
che ha le carte in regola per essere definita una vera e propria
tragedia per il nostro pianeta e per i suoi abitanti.
A
mio avviso, l'opportuna sensibilizzazione è già un gran passo
avanti, anche se a volte imparare queste cose ci colpisce nel
profondo.
Mi
preoccupo di più, tuttavia, quando questo argomento non sortisce
alcun effetto nell'ascoltatore.
Il
collegamento qui sotto è ad un video trovato su YouTube e secondo me
di grande interesse, poiché in quattro minuti fa venire un magone
epocale. Ovviamente ce ne sono moltissimi altri, se voleste approfondire l'argomento.
Buona visione.