giovedì 17 aprile 2014

Life in plastic is fantastic ... or is it?

Era il lontano 1997 ed un gruppo danese/norvegese, i cui componenti avevano nomi impronunciabili, scalava le classifiche mondiali con un singolo rimasto impresso nella mente di molti giovani: Barbie Girl. Gli Aqua, questo il nome del complesso musicale, sfondarono con il singolo anche grazie al loro video in cui i due cantanti vestivano i panni di Barbie e Ken. Dato il testo della canzone, non proprio lusinghiero nei confronti della celebre bambola, furono querelati dalla casa produttrice Mattel, ma la questione si risolse con un giudizio a favore del gruppo, poiché la canzone fu considerata dai giudici una parodia. 
Per chi non lo ricorda, ecco qui il video musicale in questione.


Una strofa di questa canzone, a suo tempo ballata anche dalle mie gambe di cemento armato, recitava “Life in plastic is fantastic”. Con cupa ironia, mi è tornata in mente l'altro giorno, quando, rientrata dalla spesa e in procinto di liberare dal loro imballaggio gli alimenti acquistati per riporli nella dispensa, ho visto il cestino della plastica riempirsi ad una velocità allarmante.
In pratica, avevo gettato la spazzatura un'ora prima e sarei già dovuta scendere di nuovo.
Così mi sono chiesta: per quale motivo la plastica è utilizzata in modo così estensivo per gli imballaggi alimentari ed anche per molti altri oggetti che utilizziamo nella vita quotidiana?
Innanzitutto è un materiale di facile e piuttosto economica lavorazione, ma soprattutto è molto resistente, idrorepellente e resistente agli acidi, leggero e inattaccabile da funghi e batteri.
Insomma, un materiale di origine quasi divina, utile nella vita quotidiana e molto versatile.
Le informazioni a me ignote, tuttavia, erano molteplici.
Ad esempio non ero a conoscenza del fatto che i polimeri plastici derivassero dalla lavorazione del petrolio, anche se sapevo che la plastica non è biodegradabile, ma solamente fotodegradabile. 
Anche quest'ultimo processo, tuttavia, riesce a ridurre il materiale in particelle microscopiche, ma non lo fa scomparire del tutto.
Un argomento che ha attirato la mia attenzione è stato quello del Great Pacific Garbage Patch, la grande chiazza di spazzatura del Pacifico, e un po' mi vergogno di questa mia scarsa informazione.
Il Great Pacific Garbage Patch è il risultato della concentrazione di inquinanti plastici marini operata dalle grandi correnti che esistono nella zona dell'Oceano Pacifico. A differenza di quanto possa venirci in mente, non si tratta di un'isola di rottami plastici che va alla deriva nell'oceano, quanto di minuscolo particolato sospeso sulla superficie dell'acqua o appena al di sotto di essa. Quale sia la sua estensione è solo una congettura poiché non è possibile vedere la chiazza da un aereo o da satellite, ma solo campionando la zona. Le stime fanno comunque aggirare la quota tra i 700.000 km2 e più di 15.000.000 km2. Alcuni la fanno breve e dicono che è circa due volte l'estensione degli Stati Uniti.
Prima di tirare un sospiro di sollievo pensando che è lontana mille miglia e più dalla nostra penisola, meglio pensare al fatto che esistono altre due zone simili, una nell'Oceano Indiano ed una nell'Atlantico.
Che cosa c'è all'interno di queste chiazze? Essenzialmente spazzatura a componente plastica, per più della metà derivante da scarichi illegali o semplicemente da gente che getta in mare bottiglie di plastica, spazzolini, giocattoli e chi più ne ha più ne metta. L'altra quota del totale deriva da navi da carico, piattaforme e navi da pesca. Da non sottovalutare è anche il contributo dato dai grandi fiumi che sfociano ovviamente nel mare e portano con sé tutta la sconsideratezza di uomini che hanno scaricato a monte questo materiale.
Consideriamo prima di tutto che in molte delle aree campionate la concentrazione totale di plastica è circa sette volte superiore a quella dello zooplancton e, dunque, immaginiamo senza ulteriore sforzo quanto sia pericoloso per la fauna marina abitare un simile ecosistema. Senza parlare di molti uccelli che mangiano questa stessa plastica, che viene ritrovata nel loro stomaco e documentata da foto reperibili facilmente in rete.
Se proprio non ci si sente nemmeno un minimo impauriti da queste informazioni, basta pensare che le particelle polimeriche di plastica rilasciano inquinanti organici tossici (PCB, IPA) che vengono ingeriti dalle meduse, solo per fare un esempio, le quali a loro volta sono predate da pesci più grandi. Gli stessi pesci che poi andiamo a comprare al mercato.
Anche qui l'equazione è semplice quanto l'ingresso di sostanze tossiche nella catena alimentare.
Ovviamente lo smaltimento delle materie plastiche e lo sviluppo di nuovi materiali biodegradabili che abbiano le stesse caratteristiche è al centro delle ricerche di numerose aziende del settore, ma ancora molta strada è all'orizzonte prima di poter ridimensionare quella che ha le carte in regola per essere definita una vera e propria tragedia per il nostro pianeta e per i suoi abitanti.
A mio avviso, l'opportuna sensibilizzazione è già un gran passo avanti, anche se a volte imparare queste cose ci colpisce nel profondo.
Mi preoccupo di più, tuttavia, quando questo argomento non sortisce alcun effetto nell'ascoltatore.

Il collegamento qui sotto è ad un video trovato su YouTube e secondo me di grande interesse, poiché in quattro minuti fa venire un magone epocale. Ovviamente ce ne sono moltissimi altri, se voleste approfondire l'argomento.
Buona visione.





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